La Stampa, 18 giugno 2018
L’era degli ologrammi viventi. Dopo Tupac e Maria Callas ora tocca agli avatar degli Abba
Si chiamano show tributo e potrebbero essere il futuro dell’intrattenimento. Non è una provocazione, è un dato di realtà. In Usa, sei dei 25 concerti con gli incassi più alti del 2017 sono di artisti oltre i 65 anni – inclusi Tom Petty, morto a ottobre, e Billy Joel, 68, che ormai si esibisce solo al Madison Square Garden (fonte Pollstar.com).
Persino gli U2 che detengono il primato di show più ricco del 2017, non sono certo giovanissimi (Bono e Adam Clayton 58, The Edge e Larry Mullen 56). Legittimo quindi chiedersi: che cosa succederà quando questi artisti non ci saranno più? Chi riempiva gli stadi da vivo, può riempirli anche da morto? Michael Jackson fece la sua comparsa sotto forma di ologramma ai Billboard Music Award 2014, non senza polemiche e una disputa in tribunale tra le due società che detengono il brevetto, la Hologram Usa e la Pulse Evolution Corp (ha vinto la prima). Nel 2012, Tupac Shakur resuscitò digitalmente sul palco del Festival di Coachella. Oggi, gli artisti deceduti riprodotti dalla tecnologia vanno da Roy Orbison a Billie Holiday, star degli show che Hologram Usa offre all’interno del suo teatro in Hollywood Boulevard a Los Angeles. Grandi ritorniA gennaio era toccato a Maria Callas: la cantante lirica morta nel 1977 aveva fatto la sua comparsa – abito bianco, stola rossa – sul palco del Lincoln Center di New York. A novembre sarà in tour in Giappone. A riportarla in vita, la Base Entertainment con una tecnologia che ha coinvolto l’uso di una controfigura addestrata per dodici settimane a muoversi sul palco come la Callas e sulla quale è stata poi imposta la faccia della cantante generata al computer, con tecniche di post produzione del tutto simili a quelle usate dalle grandi produzioni hollywoodiane. I prossimi saranno gli Abba: è già stato annunciato che a esibirsi sul palco nel 2019 saranno sì, le loro voci, ma abbinate alle loro versioni digitali. L’ultima frontiera è infatti l’uso dell’ologramma per cantanti che sono ancora in vita, ma che non vogliono sobbarcarsi la fatica di un tour oppure che limitano le apparizioni dal vivo a certe location prestigiose, lasciando a tutti gli altri l’opzione ologramma. L’eredità visiva dei BigFino ad ora, l’uso di questa tecnologia è ancora limitato ad eventi speciali e bisognerà aspettare un tour intero vero e proprio (forse quello degli Abba, appunto) per capire come e quanto la gente avrà voglia di spendere. Un problema invece già presente riguarda gli artisti e la manipolazione della loro immagine: agli ultra sessantacinquenni ancora in attività converrà lasciare indicazioni ben precise su come vogliono che sia gestita la loro eredità visiva. Nel 1998 in un’intervista al magazine Guitar World, Prince disse chiaramente che cosa ne pensava sulla possibilità di incontrarsi virtualmente con artisti morti: «Se fosse stato destino che io duettassi con Duke Ellington, saremmo vissuti nella stessa epoca». Quando, allo scorso Super Bowl, toccò a lui, nessuno se la sentì di ricreare la sua immagine con un ologramma, cosa per altro molto contrastata dai fan e da Sheila E, sua ex batterista e amica. Justin Timberlake scelse una specie di compromesso e si esibì davanti a un enorme video con la sua immagine. Una settimana fa Mike Shinoda dei Linkin Park ha risposto con un sonoro no all’idea di riportare in vita via ologramma Chester Bennington, morto suicida l’anno scorso. Siccome la domanda è stata posta da molti fan, non è detto che non ci ripensi.