La Stampa, 18 giugno 2018
“Io, considerata troppo vecchia per denunciare le molestie”. Elisabetta Cortani, la donna che ha accusato Carlo Tavecchio
Elisabetta Cortani è la donna che ha «osato» accusare di molestie Carlo Tavecchio, il potente presidente della Figc fino alle dimissioni causa fallimento «mondiale». Il suo presidente visto che dal 2006 è una delle dirigenti del calcio femminile. In mano ha quattro fogli che stringe con rabbia: sono la richiesta di archiviazione dell’indagine partita dopo la sua denuncia per le molestie ricevute da Tavecchio. Sotto la firma di un pm romano. «Una donna», fa notare Elisabetta con uno stupore doloroso. Alla magistrata non è bastato il video in cui si vede Tavecchio che mette la mano sul seno alla sua tesserata, e gli audio con un repertorio purtroppo noto alle donne: «Ti trovo bene, scopi molto?» «Fammi toccare... vieni qua», «Ti trovo in forma... che belle tette che hai». Fatti difficilmente discutibili quindi. Ma non è questo il punto, sostiene la pm visto che le accuse sono tardive. Anche se sarebbe bastato riconoscere a Tavecchio il ruolo di pubblico ufficiale durante gli incontri per superare questo ostacolo, come aveva chiesto l’avvocato di Elisabetta, Domenico Mariani.
Lacrime di rabbia
Ma la pm ha detto no ed è andata ancora oltre spiegando che Elisabetta Cortani, 50 anni, sarebbe troppo «vecchia» per essere in una condizione di «soggezione psicologica». Ed è questa parte della motivazione che fa scivolare lacrime di rabbia sulle guance di Elisabetta e che fa titolare al New York Times: «In Italia, le molestie sessuali sono un problema di una giovane donna». Del resto, spiega il quotidiano Usa «in Italia, il Paese che ha dato vita a Silvio Berlusconi e ai suoi baccanali Bunga Bunga con le ragazze, le molestie sessuali sono spesso considerate come un’etichetta esagerata per delle avances romantiche».«ll giudice non nega che i fatti ci sono stati, come si legge negli atti», dice Elisabetta, «perché io ho portato le prove audio e video come mi aveva consigliato una esponente delle forze dell’ordine a cui avevo chiesto consiglio per quello che mi stava capitando. Ma fa un ragionamento che non va solo contro di me: va contro tutte le donne e la loro battaglia per essere rispettate». Elisabetta mostra gli articoli della stampa straniera che si sono occupati della richiesta di archiviazione. Prima il Guardian, poi il New York Times e svariati magazine di oltreoceano dove la battaglia culturale contro il «sexual harassment» non è solo una «cosa da donne», ma muove la società decisa a cambiare la cultura sul tema. «Qui da noi invece ti considerano una rompiscatole», dice Elisabetta. «Come se io dovessi giustificarmi per avere denunciato, mentre a lui spettano pacche sulla spalla consolatorie e complici. Mi criticano per non essere stata dura con lui, per avere risposto “abbastanza” quando mi chiedeva se «scopavo tanto». Ma io ero interdetta e scioccata, oltre che impaurita. Come se vedessi un brutto film». Elisabetta abbassa gli occhi quando ammette di avere avuto problemi a farsi capire anche da suo figlio, poco più che adolescente. «Aveva paura di quello che avrebbero pensato gli amici di me. Perché avrebbero insinuato che ero stata io a provocarlo. Purtroppo questa è ancora la mentalità maschile in Italia. E noi mamme abbiamo molte responsabilità. È uno dei motivi che mi fanno capire di avere fatto bene, comunque, a denunciare, anche con l’inevitabile ritorno di palate di fango. E poi c’era mia figlia che mi aveva vista in lacrime e scossa appena accadute le molestie a cui ho voluto dare un esempio. Lei è con me e mi sostiene e al cento per cento».
La fine del silenzio
C’è un giorno preciso in cui Elisabetta ha deciso di rompere il silenzio: «Ho ascoltato l’avvocato Giulia Bongiorno alla televisione. Diceva alle “Iene” che le donne devono sempre denunciare, anche quando sono scaduti i termini perché solo così le cose possono iniziare a cambiare e perché, comunque, una denuncia può portare a perseguire altri reati». Elisabetta racconta di avere avuto l’appoggio della sua squadra di calcio femminile, la Lazio. «Una di loro dopo di me ha deciso di denunciare un episodio grave. E anche per lei non è facile».
«È triste vedere come in Italia si mette sempre il silenziatore a questi fatti», dice. «Ma sono contenta della solidarietà di due donne della politica: Fedeli e Rauti. Perchè questa lotta non ha colori politici». «Quello che mi sta accadendo è un segnale terribile per tutte noi. Troppo vecchia per avere paura e soggezione di un signore che mi parla in quel modo e mi mette le mani addosso? Io ero in un ufficio della Figc a parlare di sport, delle prospettive del calcio femminile, non a un appuntamento galante. Io in quella stanza avevo paura ed ero in una condizione di subordinazione. Paura e debolezza hanno età? Da quando? Avrei potuto difendermi ma ero ipnotizzata dalla vergogna e troppo impaurita». E non è finita: «Mi segue una psicologa, Virginia Ciaravolo, ma sarà un percorso lungo». «Perchè ho aspettato tanto a denunciare? Non è facile decidersi perché sappiamo tutti come vanno le cose in Italia. Tu denunci e poi ti distruggono. La gente pensa che te la sei cercata, che ci stai marciando per ottenere qualcosa. Ma poi lo ho fatto per ritrovare orgoglio, forza e dignità».