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 2018  giugno 18 Lunedì calendario

Senza voucher perse 500 mila occasioni di lavoro

Un anno senza voucher è soprattutto un anno di mancate occasioni di lavoro: sono infatti centinaia di migliaia i «contrattini» andati in fumo a causa dello stop ai buoni-lavoro. A farne le spese tantissimi giovani e meno giovani che, soprattutto d’estate, riuscivano a trovare un’occupazione temporanea e fare qualche soldo. Un anno fa il governo Gentiloni, per scansare il referendum promosso dalla Cgil ed evitare l’onta di una seconda sconfitta dopo quella del 4 dicembre, ha azzerato il vecchio sistema dei buoni da 10 euro sostituendoli con un «contratto di prestazione occasionale» per le imprese con meno di 5 dipendenti e un «libretto famiglia» per lavori di casa, baby sitter e ripetizioni private. Il passaggio tra il vecchio e il nuovo sistema però ha dimostrato di non funzionare. Stando ad uno studio realizzato da Confesercenti, che La Stampa pubblica in esclusiva, la cancellazione dei voucher solo nel campo delle piccole medie imprese che operano soprattutto nel commercio, nel turismo, nei servizi e nell’artigianato ha fatto perdere all’incirca 400 mila occasioni di lavoro. In pratica i rapporti di lavoro che si erano registrati sino al 2016, ultimo anno di utilizzo pieno dei buoni, si sono dimezzati. In agricoltura, invece, stando alle stime di Coldiretti dopo i 25 mila posti bruciati in occasione dell’ultima vendemmia quest’estate ne scompariranno altri 50 mila. Spiega il segretario nazionale di Confesercenti Mauro Bussoni: «Il voucher era uno strumento utile per imprese e lavoratori, soprattutto dopo che ne era stata rafforzata la tracciabilità. La sua abolizione ha fatto perdere tante occasioni di lavoro e ha creato confusione e aggravi burocratici aggiuntivi per le attività economiche. Questo genere di caos è inevitabile quando si agisce senza un confronto vero con le parti sociali».

I numeri del flop
Secondo un sondaggio condotto dalla Swg per Confesercenti su un campione rappresentativo di 800 piccole e medie imprese (Pmi), risulta che utilizzava i voucher il 30% degli intervistati, anche se poi solo il 4% lo usava con frequenza. Ad adoperarlo erano principalmente piccole imprese: solo il 17% degli imprenditori intervistati, infatti, è rimasto fuori dal nuovo contratto di prestazione occasionale perché aveva troppi dipendenti. Nonostante questo, però, solo un terzo delle attività (il 33%) è stato in grado di utilizzare il nuovo strumento: il 43% ha invece trovato la procedura di attivazione troppo complessa, mentre un altro 7% non lo ha ritenuto adatto alle proprie esigenze. A motivare il no di questi ultimi, probabilmente, due fattori: da un lato il costo maggiore (di circa un terzo) della prestazione oraria; dall’altro i limiti sulla forza di lavoro impiegabile attraverso questo tipo di contratti, ovvero giovani con meno di 25 anni, pensionati e persone disoccupate e/o percettori del reddito di inclusione. Limiti che, ci segnalano le imprese che hanno risposto al sondaggio, «tagliano fuori la forza lavoro più esperta».
L’insuccesso della riforma del 2017 è confermato anche dai dati ufficiali dell’Inps. Anche considerando i dati del libretto famiglia la discrepanza tra le ore-lavoro assegnate tramite voucher e quelle dei nuovi strumenti è abissale. Operando un confronto tra luglio-dicembre 2016 e luglio-dicembre 2017 (ovvero i primi sei mesi del nuovo regime), si passa infatti da oltre 69 milioni di ore ad appena 1,6 milioni. Non solo, ma a tutto marzo 2018 erano appena 6309 i libretti famiglia attivati, segno che buona parte delle prestazioni effettuate presso privati, in parte emerso coi voucher, è rifluito nel nero. Di contro tra il 2008 e il 2017 in 104 mesi, in totale erano stati 433 milioni i voucher venduti, con un picco di 134 milioni nel 2016 e circa 1,77 milioni di lavoratori interessati in totale. 
Un sistema complicato 
«La nuova normativa ha fatto crollare del 98% in valore l’uso dei buoni lavoro» denuncia Coldiretti contestando «l’eccesso di inutile burocrazia di cui, in parte non irrilevante, è responsabile la piattaforma informatica creata dall’Inps che non tiene in considerazione le specificità del lavoro nei campi». I voucher – viene poi ricordato - erano stati introdotti per la prima volta in via sperimentale nel 2008 per la vendemmia proprio per le peculiarità dell’offerta di lavoro nelle campagne. Nel corso degli anni successivi «l’agricoltura è stata l’unico settore che è rimasto praticamente “incatenato” all’originaria disciplina “sperimentale” con tutte le iniziali limitazioni (solo lavoro stagionale e solo pensionati, studenti e percettori di integrazioni al reddito) che gli altri settori non hanno mai più conosciuto fino all’abrogazione». E «non è un caso – si precisa ancora – che il numero di voucher impiegati in agricoltura sia praticamente rimasto stabile dal 2011. In agricoltura ne sono stati venduti nell’ultimo anno prima dell’abrogazione circa 2 milioni, più o meno come nei 5 anni precedenti pari all’incirca a 350 mila giornate/anno di lavoro che – sottolinea la Coldiretti – hanno aiutato ad avvicinare al mondo dell’agricoltura giovani studenti e a mantenere attivi molti anziani pensionati nelle campagne senza gli abusi che si sono verificati in altri settori».
Le imprese si arrangiano
Ma che fine ha fatto il lavoro accessorio nel mondo delle Pmi? Il 5% delle imprese secondo il sondaggio Swg/Confesercenti ha detto di aver usato contratti ad intermittenza, mentre il 9% si è rivolto a part-time a tempo determinato, un altro 13% invece ha potuto utilizzare i contratti stagionali, che sono però limitati ad alcuni settori d’attività. Il 27% ha invece usato altre forme contrattuali. Ma quasi la metà delle imprese (46%) ha semplicemente rinunciato alle mansioni precedentemente assolte con i voucher: il 22% l’ha eliminata del tutto, mentre il 24% l’ha divisa tra gli altri dipendenti o svolta in prima persona. «I pubblici esercizi non sono fabbriche» spiega Massimo Zucchini, presidente della Fiepet Bologna. «Il lavoro non è sempre programmabile. Il voucher era uno strumento di grande semplicità che permetteva di gestire tutte quelle occasioni che si materializzano con scarso o nessun preavviso: per un pub come il mio, ad esempio, camerieri e cuochi per compleanni, partite, feste di strada o altri eventi imprevisti. In più permetteva di avere un primo contatto con i lavoratori, valutandone esperienza, capacità e comportamento sul campo. Un contatto che spesso portava all’assunzione definitiva della figura».
Considerando che nel 2016, nei settori presi in considerazione, i voucher avevano dato lavoro a circa 890 mila persone (in pratica la metà della platea totale), alla luce del sondaggio dell’Swg si stima che siano oltre 400 mila gli addetti che hanno visto sfumare un’occasione di guadagno. Cifra che potrebbe raddoppiare se l’altra metà dei datori di lavoro avesse tenuto lo stesso comportamento del campione sondato da Swg. Parlare di 800 mila contrattini andati persi è forse troppo, ma il paragone rende bene l’idea della vastità del problema, delle occasioni che vanno perse e del fatto che molto probabilmente una parte molto rilevante degli occupati occasionali è scomparso dai radar, non versa più nemmeno la quota minima di contributi Inps e ovviamente non può più essere tracciata e quindi controllata. 
Governo pronto a cambiare
Che fare? La reintroduzione dei voucher secondo Confesercenti trova d’accordo il 47% delle imprese (mentre il 32% è contrario e il 21% non sa). «Si deve tornare indietro: occorre ripristinare il voucher così come era» sostiene Bussoni. Il nuovo governo Lega-5 Stelle ci sta seriamente pensando, tant’è che nel suo «Contratto», recependo le tante critiche del mondo delle imprese, ha previsto esplicitamente «una riforma complessiva della normativa vigente» con l’obiettivo «di introdurre un nuovo strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso una apposita piattaforma digitale per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio». Da parte della Cgil è subito arrivato un altolà, con Susanna Camusso che ha lanciato l’«allarme rosso», mentre è noto che se fosse dipeso da Cisl e Uil i voucher non sarebbero stati aboliti, ma semmai solo «rivisti». Ne è convinto anche Maurizio Sacconi che a sua volta suggerisce di introdurre «una disciplina semplice sul “lavoro breve”, che deve essere detassato, semplicissimamente regolato e soprattutto non soggetto a contenzioso in quanto né subordinato né autonomo».