la Repubblica, 18 giugno 2018
Netflix ai tempi del muto. Quelle serie di cento anni fa
La bomba sta per esplodere a un passo dai nostri americanissimi eroi, legati in un sotterraneo da spie europee. Al culmine della scena, la scritta: “Continua la settimana prossima, in questa sala”. La videodipendenza dai finali sospesi, puntata dopo puntata, esiste da cent’anni, ma un tempo le serie si guardavano al cinema. La Cineteca di Bologna propone di rifarlo al festival Il cinema Ritrovato (23 giugno-1 luglio), in una cornice speciale, il Modernissimo, edificio Liberty d’inizio Novecento (aperto temporaneamente, malgrado i lavori in corso). Tutti i giorni si vedranno due capitoli, mattina e sera, dei 15 episodi di Wolves of Kultur, produzione americana del 1918, un’immersione che il direttore della Cineteca Gianluca Farinelli definisce – ai tempi di Netflix – «una discesa nell’utopia che chiamiamo Mutiflix». Ma è anche un’immersione totale nell’avventura mozzafiato del cinema muto: «I serial d’inizio Novecento sono stati fondamentali per la creazione del filone d’avventura», aggiunge Farinelli. Wolves of Kultur è una storia di spionaggio bellico industriale, prodotta dalla Pathé sul finire della Prima guerra mondiale. Al centro della storia Alice Grayson, patriottica nipote di un inventore che ha progettato un siluro radiocomandato. Lo scienziato viene assassinato da amici che si rivelano traditori e mercenari (c’è un cattivo dal nome esotico Zaremba), pronti a vendere progetto e modellino a “potenze europee”, leggi Germania. La ragazza si mette a caccia della gang dei “Lupi di Kultur” insieme al detective Roger Barclay: c’è una botola da cui si precipita direttamente nell’underground criminale. Nel bianco e nero accuratamente restaurato (ciascun episodio da un archivio diverso nel mondo) spiccano gli straordinari stunt fatti dagli stessi attori: inseguimenti in auto, fughe in motocicletta e in barca (sul fiume Hudson), scene di lotta démodé con i corpi confusamente aggrovigliati. Il film fu girato nell’estate del 1918 in New Jersey, tra le meraviglie del Newfoundland e le cascate di Ausable Chasm: «L’ultimo episodio – spiega la curatrice Mariann Lewinsky – termina con una grande sparatoria che ci proietta in un frammento di propaganda della National Rifle Association, i fabbricanti d’armi.Ma niente può sminuire la gloria di questo serial, un kamasutra dei cliffhanger con trovate mozzafiato». Nella storia si fa notare l’atleta Charles Hutchison ma se la cava benissimo anche la serial Queen (sceneggiatrice e produttrice) Leah Baird, che smessi i panni da vamp qui si difende a pugni, spacca bottiglie in testa, si cala da una finestra alta ottanta metri con lenzuola annodate, si traveste da uomo con tanto di baffi. Che sia lei al centro della storia, come per altre serie dell’epoca — The perils of Pauline, The exploits of Elaine — è comprensibile: la moda dei serial si sviluppa durante la Prima guerra mondiale, quando il pubblico è femminile: «In momenti di grande paura – spiega Farinelli – un appuntamento fisso con le proprie eroine dava una straordinaria certezza». Sul fronte della tempistica la serie diretta da Joseph A. Golden fu sfortunata perché uscì in sala nell’ottobre del 1918. Un mese dopo la guerra era finita e il pubblico aveva perso interesse nella propaganda anti tedesca. In più un’epidemia d’influenza costrinse molti cinema a chiudere per un mese e mezzo, mandando all’aria la programmazione. Wolves of Kultur sparì, ma cent’anni dopo il pubblico la ritrova a Bologna.