la Repubblica, 18 giugno 2018
Russiagate, pornostar e guai: tutte le indagini sul presidente
L’arresto dell’ex direttore di campagna elettorale, Paul Manafort. L’istruttoria contro Donald Trump e figli per uso illecito della Fondazione filantropica di famiglia. Sono solo i due ultimi sviluppi delle inchieste giudiziarie che riguardano il presidente degli Stati Uniti. Ma quante sono, esattamente? E quali probabilità hanno di mettere in difficoltà Trump, eventualmente fino all’impeachment? Solo pochi esperti ormai riescono a ricostruire “a memoria” tutti i filoni d’indagine aperti su questo presidente, più pluri-inquisito di Richard Nixon e Bill Clinton (gli unici due ad avere rischiato l’impeachment nella storia recente). Il bombardamento di notizie ha un effetto di assuefazione sull’elettore americano. Quello italiano può avere una sensazione di “déjà vu”: non mancano le analogie con Silvio Berlusconi, le sue vicissitudini con la magistratura all’epoca in cui era presidente del Consiglio. Le differenze più significative tra le due situazioni sono dovute all’enorme distanza tra i sistemi giudiziari. Non è facile per un italiano capire che è il Dipartimento di Giustizia – quindi un ramo dell’Amministrazione Trump – a nominare il super-inquirente Robert Mueller che conduce l’indagine sul cosiddetto Russiagate; e al tempo stesso che da questo magistrato e dal Dipartimento ci si attende autonomia rispetto al presidente.
Il filone numero uno, tra tutte le indagini sul presidente, rimane appunto quello che (solo noi italiani) chiamiamo Russiagate: parte dal sospetto d’interferenza del governo russo nell’elezione presidenziale del 2016. È questo il lavoro di Mueller, ex capo dell’Fbi, considerato un inquirente di altissima professionalità, repubblicano ma con una storia personale d’integrità e indipendenza. Mueller ha già incriminato 13 russi e tre società a loro collegate; diversi ex collaboratori di Trump fra cui due capi della campagna elettorale, Paul Manafort e Corey Lewandoski. Un altro filone dell’indagine ha colpito l’ex avvocato personale di Trump, quel Michael Cohen che lo assistette negli affari, e si prestò a pagare l’attrice porno Stormy Daniels (con cui Trump ebbe una relazione) acquistando il suo silenzio a pochi giorni dal voto. In molti casi, incluso il trio Manafort Lewandoski Cohen, i reati imputati partono dalle violazioni delle leggi sui finanziamenti elettorali; si allargano a reati fiscali, riciclaggio. Mueller ha avuto la possibilità di “scorporare” dall’inchiesta principale sul Russiagate delle incriminazioni separate, affidate alla giustizia ordinaria. Questo mette sotto pressione gli indagati, ponendoli di fronte all’opzione di collaborare con la giustizia – inguaiando il presidente – per ottenere sconti di pena sui loro reati.Un’inchiesta separata e indipendente è aperta dalla procuratrice generale dello Stato di New York, Barbara Underwood, sulla gestione della Fondazione filantropica che fa capo alla famiglia Trump. Gli accusati sono Donald e i tre figli adulti. Di nuovo, il capo d’accusa è la violazione delle leggi sul finanziamento elettorale (avrebbero dirottato a scopi politici le donazioni filantropiche). La procuratrice può perseguire il presidente e i familiari per violazioni delle leggi del suo Stato, ma per eventuali reati federali deve passare l’istruttoria a Washington, dove verrebbe gestita dal Dipartimento di Giustizia.Va ricordato che un presidente degli Stati Uniti non può essere incriminato finché è in carica; i processi penali o civili vengono rinviati e possono coinvolgerlo una volta che ha esaurito il mandato. Questo si applica a numerose altre cause giudiziarie, dalle denunce per molestie sessuali o per truffe (Trump University) fino alle questioni fiscali. Trump da ex presidente potrebbe frequentare parecchio i tribunali. Per adesso ha uno scudo potente. Resta invece la questione dell’impeachment, procedura ad hoc che la Costituzione riserva ad alcuni reati gravi commessi nell’esercizio delle funzioni. Quanta probabilità c’è che Mueller decida di chiederlo? Anzitutto: non basta dimostrare che le ingerenze russe ebbero luogo. Bisogna che ci sia stata collusione, quindi consapevolezza delle ingerenze da parte del beneficiario e una promessa di ricompensa a Vladimir Putin o chi per lui. Inoltre non basta che a colludere siano stati i collaboratori, bisogna dimostrare il coinvolgimento di Trump. Un’altra possibilità, è perseguirlo per ostruzione alla giustizia: soprattutto per il licenziamento dell’ex capo dell’Fbi James Comey, reo di non aver sospeso le inchieste sulla pista russa. Ammesso che Mueller concluda a favore dell’impeachment, questo dovrà essere votato con delle super- maggioranze sia alla Camera sia al Senato. Un percorso tutto in salita. Resta l’arma “atomica” evocata da Rudolph Giuliani e dallo stesso Trump: usare il perdono presidenziale… per assolvere il presidente stesso. Non è mai accaduto e i giuristi sono prevalentemente negativi sulla sua ammissibilità. Se ne parla, Trump evidentemente pensa che un giorno potrebbe aver bisogno di questa “immunità estrema”, una sfida alla Costituzione.