Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 17 Domenica calendario

Senza una virgola fuori posto

Ah, mesta vita del redattore editoriale! 
Passa mesi chino sulle bozze, o almeno dovrebbe farlo. Armato di metodo, pazienza, acribia, matite colorate e la cara vecchia gomma da cancellare, esprime la sua fedeltà alla causa nella furia fredda con cui si accanisce su distrazioni e scorciatoie corrive. Con il tempo impara ad alternare riguardo a sospetto, cautela a improntitudine, piedi per terra a voli pindarici. In un mondo più elegante del nostro, il redattore editoriale – l’ultima ruota del carro – godrebbe del potere, dell’autonomia e del credito di un amministratore delegato o di un maître-à-penser.
Un discorso analogo vale per i traduttori.
Ne ho incontrati di così superciliosi da ingaggiare lotte senza quartiere con testi cocciutamente refrattari alla trasposizione inter-linguistica. 
Tienilo a mente, caro scrittore: non aspettarti dalla vita giudici più assennati e scrupolosi, critici più sensibili alle sfumature, lettori più devoti, dei tuoi redattori e dei tuoi traduttori. Ti inizieranno al gusto euforizzante di lavorare con chi è privo di pregiudizi ideologici, con chi se ne sbatte di estetiche autoriali o generalizzazioni critiche, con chi si affida al gusto, al senno, all’orecchio.

Leonardo G. Luccone è traduttore e editor (ai tempi di Giulio Einaudi non c’era quasi distinzione tra queste due categorie professionali). Gli devo la scoperta imperdonabilmente tardiva di alcuni racconti di John Cheever, uno scrittore meraviglioso. E ora anche la compilazione di questo incantevole, informatissimo manualetto sulla punteggiatura: Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto (Laterza). «Al termine del percorso», spera Luccone, «scriverete un po’ meno virgole e qualche punto e virgola in più».
Si racconta che una sera Bassani, appena rientrato a Ferrara da Milano, fece dietrofront per tornare in casa editrice a ripulire il suo Airone da una virgola malandrina: lo aveva perseguitato per tutto il viaggio. Storia di ordinaria monomania flaubertiana.
Se la vita del giovane scrittore plana sui cieli burrascosi della cosmologia e della vanagloria, l’esistenza del narratore attempato si consuma nel tepore di una routine laboriosa e instancabile. Lo stile è il suo polmone d’acciaio, e le pause tra un respiro e l’altro sono scandite dal ritmo suadente o convulso dell’interpunzione. Che ne sarebbe di Céline senza i rabbiosi tre punti? Di Nabokov senza le parentesi colme di preziosa profumata mercanzia? Di Gadda senza i pedanti, insistiti due punti? 

Luccone è di un laicismo encomiabile. Il suo relativismo vacilla solo di fronte ad alcuni postulati: «A me pazzi e stilisti sono sempre piaciuti – qui ne porto tanti a modello —, però voglio che ci sia un solco entro cui stare la maggior parte del tempo». Le regole sono regole: l’abitudine di mettere una virgola tra soggetto e predicato (così in voga tra i miei studenti) è un errore che non merita eccezioni, deroghe e per carità nessuna indulgenza. Ciò detto, la punteggiatura è efficace se aspira all’onnipotenza e all’invisibilità, come Jahvè, se si mette al servizio della singolare idea di prosa che ogni autore coltiva, che ogni autore dovrebbe coltivare. «La punteggiatura è espressività. La vostra punteggiatura siete voi», ci incoraggia Luccone. Il bestiario da lui allestito è ricco e variegato, così come ricchi e variegati sono gli esempi virtuosi che affastella con un gusto per le tassonomie a dir poco entusiasta.
Non è un caso che, in questo viaggio nel mare aperto della punteggiatura, Luccone affidi a Valéry il ruolo di nocchiero. Che meraviglioso editor sarebbe stato – Valéry, intendo – se non avesse avuto meglio da fare. Nemico dei discorsi vaghi, generici, campati in aria, credeva solo nella forza ordinatrice della sintassi, nella sua capacità suggestiva e potenza retorica. Non c’è sintassi senza punteggiatura. «Tutto ciò che divide per unire è punteggiatura», dice Luccone. A cominciare dal famoso punto a capo che ne L’educazione sentimentale separa «Viaggiò» da «Conobbe la malinconia dei piroscafi»: un’ellissi che esprime l’inutile, faticoso peregrinare di Frederic Moreau, nonché il disincanto senile del suo creatore.

Luccone denuncia la «tremarella da assenza di virgole» che affligge anche stilisti di genio come Calvino e Pavese, inducendoli a errori imperdonabili. È indubbio che l’horror vacui può spingerti a ingolfare la prosa di segnetti pleonastici. Per scrivere cose buone, pare suggerire Luccone, occorre fidarsi di sé e del lettore.
Una punteggiatura adeguata è spia della pace interiore di un buon narratore, di una raggiunta consapevolezza artistica. Ho frequentato molte meno grammatiche di quanto con tutta evidenza non abbia fatto Luccone. Per temperamento sono attratto più dalla prassi che dalla teoria. Ma tale ignoranza non fa che incrementare il mio stupore al cospetto delle mille fattispecie accumulate in questo manuale, suffragate da bizzeffe di esempi gustosi: le virgole cannibali, le virgole che collegano le frasi, le virgole per le enumerazioni, le virgole con le interiezioni o con il gerundio, le virgole prima delle congiunzioni e chi più ne ha più ne metta...
Leggendo non facevo che ripetermi: «Già, è proprio così»; oppure «Ah, ecco perché». Leggendo mi sentivo meno solo, meno stupido, meno alienato. Leggendo mi sembrava di capire che all’origine dell’universo non c’è mica il Verbo, bensì una Virgola meditata e al posto giusto.