La Lettura, 17 giugno 2018
La lucertola che scampò all’Apocalisse vulcanica
La signora delle lucertole nascondeva un segreto sulla sua faccia nascosta. Scoperta nel 1999 sulle Dolomiti della Val Pusteria, sbucava da un antichissimo strato di sabbia e argilla in tutta la sua compiuta bellezza. Ancorché perfettamente conservata, era stato impossibile estrarla dalla matrice di roccia che la imprigionava, pena la sua distruzione. I paleontologi che la descrissero non trovarono alcun cugino fossile con il quale confrontarla e la classificarono come un enigmatico rettile arcaico simile ai lepidosauri, lasciandola in consegna al Museo di Scienze naturali dell’Alto Adige. Le fu dato il nome di Megachirella wachtleri.
Meno di vent’anni dopo, il colpo di scena, così importante da meritarsi la copertina di «Nature» di fine maggio, onore rarissimo per un fossile, per di più italiano. Massimo Bernardi, paleontologo del Museo delle scienze – Muse di Trento, preleva la piccola lucertola da Bolzano e la porta da Lucia Mancini al sincrotrone Elettra di Trieste. Qui, in collaborazione con il Centro internazionale di fisica teorica «Abdus Salam» di Trieste e con il Centro Fermi di Roma, gli scienziati fanno una Tac ad altissima risoluzione del fossile e, senza intaccarlo, riescono a ricavare un preciso modello tridimensionale dell’animale, che comprende anche il lato nascosto nello strato di carbonati. In pratica, lo estraggono virtualmente dalla roccia e lo studiano al computer.
I dettagli che vedono sul collo, sulla mandibola e sulle forti zampe non lasciano dubbi ma serve una controprova. A questo punto entrano in scena Tiago R. Simões e Michael Caldwell dell’Università dell’Alberta e studiosi di altri atenei, il primo dei quali per tre anni viaggia tra i musei di tutto il mondo per confrontare ogni minuzia anatomica di Megachirella con quella corrispondente di 150 suoi potenziali cugini rettili del passato. Grazie al calcolo in cloud, vengono messi in rete molti computer per costruire una matrice che elabori centinaia di migliaia di dati comparativi (morfologici e molecolari), per capire chi fosse più imparentato con chi tra i primi squamati e ricostruirne così l’albero di discendenza. Si noti come in questa scoperta siano state essenziali le collezioni museali pubblicamente accessibili (non sono cimiteri di fossili polverosi ma luoghi vivi di ricerca) e lo studio su reperti già noti ma con tecnologie aggiornate. La ricerca poi è stata possibile solo grazie alla collaborazione tra più discipline: paleontologia, fisica e bioinformatica. Questa è la scienza di punta (in Italia purtroppo sotto-finanziata) che porta oggi a fare scoperte evoluzionistiche straordinarie.
Al termine dell’indagine poliziesca, ecco il responso. Il posto di Megachirella nel grande albero della vita è quello di una protagonista di primo piano, una star della paleontologia. Tutti gli indizi anatomici e le comparazioni suggeriscono che non sia vagamente un lepidosauro ma il più antico esemplare noto di squamato, cioè il folto gruppo che comprende le quasi 10 mila specie attuali di lucertole, di serpenti e di anfisbene (rettili scavatori senza zampe). Inoltre è ben più antica dei più antichi fossili di squamati rinvenuti finora in tutto il mondo: risale a circa 240 milioni di anni fa, il che significa che lucertole e serpenti iniziarono a diversificarsi almeno 75 milioni di anni prima di quanto finora previsto. Come un ago in un pagliaio, la madre di tutte le lucertole, robusta e lunga 25 centimetri, era sepolta sulle Dolomiti.
La retrodatazione è significativa perché coincide con quanto suggerito dalla ricostruzione dell’albero evolutivo basata sull’analisi del Dna dei rettili viventi: ora i dati morfologici e molecolari convergono quindi nel definire la filogenesi di lucertole e serpenti. Questi animali si sono ramificati in ambienti diversi più gradualmente e più a lungo di quanto supposto. A partire dalle proto-lucertole, i gechi si separarono prima delle iguane. In seguito, la perdita progressiva delle zampe avvenne più volte, prima nelle anfisbene e poi nei serpenti.
Megachirella è morta, probabilmente sorpresa da una tempesta e annegata sulla spiaggia di una laguna tropicale, all’inizio del Triassico. I nuovi dati attestano che i suoi antenati dovevano essere sopravvissuti, alcuni milioni di anni prima, alla più grande estinzione di massa di tutti i tempi, quella che portandosi via qualcosa come nove decimi degli organismi marini e più di due terzi dei vertebrati terrestri segnò il passaggio drammatico tra il Permiano e il Triassico 252 milioni di anni fa. Finora si era pensato invece che gli squamati si fossero evoluti soltanto dopo quest’immane catastrofe, prodotta da eruzioni vulcaniche colossali.
Dunque le prime proto-lucertole vagavano già per la Terra (e per le spiagge dolomitiche) prima della catastrofe. Non si sa come ma sopravvissero alle sue esalazioni letali e a quel punto, ereditando un pianeta spopolato e meno competitivo, nel Triassico si irradiarono in tante forme andando a colonizzare le nicchie ecologiche rimaste sguarnite. Un’altra ricerca paleontologica condotta sulle Dolomiti e pubblicata su «Nature Communications» in aprile ha svelato che otto milioni di anni dopo la morte di Megachirella, in un’altra fase di sconquasso ecologico dovuto all’alternanza instabile di fasi aride e umide che prende il nome di «Episodio pluviale del Carnico», iniziò la diversificazione esplosiva dei dinosauri.
In queste crisi ecosistemiche globali, estinzioni e diversificazioni, morte e vita, si alternano strettamente. Sembra un paradosso, ma le estinzioni, anche le peggiori, sono un motore fondamentale per l’evoluzione. Sui tempi lunghi, dopo una fase di recupero dallo shock, vediamo i benefici effetti di questi turnover: la selezione naturale per un po’ allenta la sua morsa; si libera spazio ecologico per la nascita di nuove specie a partire dai pochi sopravvissuti; la vita riempie i vuoti e si squadernano vere e proprie radiazioni adattative di nuove forme. Anche noi primati siamo figli della portentosa diversificazione dei mammiferi che ereditarono la Terra dopo l’estinzione di massa che 66 milioni di anni fa si portò via tutti i dinosauri non aviani.
Nell’evoluzione non contano soltanto le relazioni di competizione e cooperazione tra organismi nei tempi «normali», ma anche le reazioni dei viventi alle perturbazioni ecologiche globali, talvolta repentine e drastiche, nei tempi eccezionali. In queste grandi staffette della storia naturale, gli estinti spesso sono i sopravvissuti fortunati di una precedente estinzione, e non è detto che i dominatori del momento lo siano anche dopo la prossima transizione. Ecco il filo che ci lega alla Megachirella dolomitica: siamo tutti figli di sopravvissuti.