La Lettura, 17 giugno 2018
La vita rubata a 13 anni: l’ultimo venerdì di Cinthia
Cinthia Jocabeth Castañeda Alvarado è sparita nel nulla il 24 ottobre 2008 a Ciudad Juárez, in quel Messico di confine che è quasi Stati Uniti. Era un venerdì. Era uscita di casa alle otto del mattino per prendere il bus e andare a scuola. Prima, aveva in programma di fermarsi a comprare del materiale per le lezioni e cambiare un paio di scarpe in un negozio di calle Rafael Velarde, in centro. Quella mattina era in ritardo e i suoi amici, con cui si sarebbe dovuta recare a scuola, decisero di non aspettarla.
Cinthia aveva 13 anni l’ultima volta che fu vista. Frequentava il primo anno delle medie in un istituto pubblico della città, la Secundaria Federal #7. Era alta un metro e cinquanta, di carnagione chiara con sopracciglia sottili, naso piatto, capelli lisci marrone chiaro lunghi fino alle spalle. Anche gli occhi erano marrone chiaro. Era di corporatura esile. Aveva due nei sul lato destro del collo. La mattina del 24 ottobre di dieci anni fa indossava jeans azzurri, una maglietta bianca, scarpe nere.
Ciudad Juárez è la quinta città del Messico per dimensioni. È bagnata dalle acque del Río Bravo e si trova al confine con il Texas. Al di là c’è El Paso. Nel censimento del 2010 Ciudad Juárez contava 1.332.131 abitanti. Secondo la Fiscalía General del Estado messicana – un organismo indipendente specializzato nell’ambito criminale – Cinthia è sparita nella zona della città chiamata Plutarco Elías Calles Ampliación.
La madre di Cinthia, Karla, capì subito che era successo qualcosa di grave. «All’una del pomeriggio non era ancora tornata a casa», racconta a «la Lettura». «Sono corsa fuori a cercare aiuto. Sono andata alla Fiscalía ma mi hanno detto che dovevo aspettare 72 ore perché si potesse parlare ufficialmente di sparizione. Io non volevo aspettare 72 ore. Avevo la sensazione che non volessero aiutarmi. Così ho preso una fotografia di Cinthia e sono andata da giornali e tv per sapere se potevano fare qualcosa». La notizia, a quel punto, cominciò a circolare.
Tra il 2007 e il 2017, nello stato di Chihuahua (3.406.465 abitanti), dove si trova Ciudad Juárez, sono sparite oltre ventimila persone: 10.141 uomini e 9.945 donne. Vittime dei cartelli della droga, di violenza, di abusi.
Secondo Karla Jocabeth Castañeda Alvarado, nessuno ha provato veramente a cercare sua figlia Cinthia e quegli uomini e quelle donne finiti nel nulla.
Cinthia voleva diventare un’infermiera. Amava cucinare. La sua specialità era la tortilla di farina in salsa mole (preparata con frutta secca, peperoncino, spezie, cioccolato, frutta fresca e verdure), un piatto tradizionale messicano. La sua cantante preferita era Annette Moreno, un’artista americana che canta in spagnolo. Le piaceva ballare. «Stava spesso da sola, non amava uscire con le amiche», ricorda Karla. «Il fratello Alberto era la persona con cui trascorreva più tempo».
Sabato, il giorno dopo la sparizione di Cinthia, Karla riceve una telefonata da una signora di nome Ilda, che lavorava nella zona del centro e che quel giorno stava aspettando suo marito vicino a una banca. «Mi disse che aveva visto Cinthia. Mi disse: “L’ho vista ieri, stava camminando non lontano da me. Mi guardava dritto negli occhi, continuava a fissarmi, come se volesse dirmi qualcosa”. Usò queste parole. Ilda mi disse che aspettava che Cinthia aprisse bocca e le parlasse. Mi disse anche che non era sola. Era con un uomo tra i 45 e i 50 anni. L’uomo le stringeva il braccio e lei piangeva a dirotto. Ero costernata, le ho chiesto perché non fosse intervenuta, perché non avesse provato ad aiutarla. Mi ha detto che pensava che quell’uomo fosse il padre di Cinthia».
A quel punto Karla è tornata alla Fiscalía e ha raccontato la telefonata agli ufficiali. «Si sono fatti sentire solo un mese dopo. Mi hanno chiesto se fossi sicura che Ilda stesse dicendo la verità. Lo ero, ma mi hanno convinta che questa donna mentiva e che era pericolosa. Avevo paura e volevo piangere. Avevo paura di chiamare quella donna ancora una volta. Quando Ilda provò a richiamarmi non risposi. A quell’epoca mi fidavo della Fiscalía».
Oggi Karla, 37 anni, vive a Los Angeles con altri quattro figli. Lo scorso marzo, una corte federale californiana ha concesso a lei e alla sua famiglia l’asilo politico. Karla è arrivata in Nord America il 13 febbraio 2013, passando per Tijuana, frontiera tra Messico e Stati Uniti, procedendo a piedi verso San Diego. La foto segnaletica della pagina a fianco è stata esposta al Pac di Milano fino allo scorso 10 giugno in occasione della mostra Ya Basta Hijos de Puta della performer messicana Teresa Margolles. Un’esposizione attraverso la quale l’artista ha raccontato e denunciato le sofferenze del proprio Paese.
La ricerca di Cinthia ha portato Karla al collasso psicofisico. «La cercavo giorno e notte. Mio padre mi diceva che dovevo farmi ricoverare in una clinica psichiatrica perché secondo lui stavo diventando pazza», continua la donna. Erano passati un anno e tre mesi quando si accorse, consultando i file della polizia, che le ricerche non erano mai veramente cominciate. «C’erano solo pochi file che riportavano il primo colloquio che avevo avuto con gli agenti alla Fiscalía. Nient’altro».
È a questo punto che ha incontrato altre mamme di ragazzine scomparse. E con loro ha deciso di andare avanti a cercare. Insieme hanno organizzato manifestazioni e marce di protesta. «L’ultima cosa che ho fatto con loro è stata la Caminata por la Vida (la Camminata per la Vita, ndr) da Ciudad Juárez alla città di Chihuahua, nel gennaio 2013: abbiamo camminato per sette giorni e sette notti, senza sosta, con temperature che arrivavano anche a 14 gradi sotto zero». L’obiettivo di questa camminata era parlare con César Duarte Jáquez, governatore di Chihuahua dal 2010 al 2016, perché le aiutasse a ritrovare le loro figlie. Arrivate in città, le donne sono venute a sapere che il governatore era in vacanza. Questa notizia non è bastata a fermare Karla. Tanto che la sua determinazione ha cominciato a dare fastidio. «Poco tempo dopo, mi hanno chiamata e mi hanno offerto un lavoro governativo come segretaria. Mi chiamò una donna e mi chiese di presentarmi sola. Era tutto molto strano, soprattutto perché anche la figlia di questa donna era sparita nel nulla. Mi disse che potevano darmi molti soldi se convincevo le altre donne a smettere di cercare i loro figli. Ho detto di no». Da quel momento le cose hanno preso una svolta drammatica.
Nello stesso mese di gennaio 2013, Karla ha ricevuto una chiamata alle sei del mattino: dall’altra parte della cornetta qualcuno le ha detto di prendere i figli e scappare, perché stavano venendo a prenderla. «Ho preso al volo i miei bambini e mi sono nascosta nella casa di fronte, da una vicina. Pochi minuti dopo alcune persone incappucciate sono entrate in casa mia e hanno messo tutto sotto sopra». Il messaggio era chiaro. Era il momento di lasciare Juárez.
Al consolato messicano di Los Angeles, Karla ha chiesto di riaprire il caso. «Non posso accettare che sia stato chiuso, che non sia stata fatta giustizia per Cinthia. Può immaginare come mi sento ora che nessuno la sta cercando? Io sono qui, Cinthia è da qualche parte. Immagini se è ancora viva, che cosa sta soffrendo? Che cosa ha sofferto in tutti questi anni? Io spero che sia viva, ma voglio sapere che cosa è successo. Aspetto di sapere che cosa è successo a mia figlia». Da dieci anni Karla aspetta di sapere che cosa è successo a Cinthia. Non smetterà di aspettare.