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 2018  giugno 17 Domenica calendario

C’è un Madoff nel Nordest che ha bruciato 37 milioni

PORDENONE I cocci dei casi Madoff e Lande sono ancora lì, a ricordare a migliaia di persone quanto possono far male l’ingenuità e la cupidigia nelle scelte d’investimento. Ed è vivo anche il ricordo di vicende meno conosciute ma geograficamente più vicine al luogo del misfatto, «Wall street dreaming» e «Gd Consulting», rispettivamente 10 e 53 milioni scomparsi nei primi anni Duemila dopo averli raccolti da circa 500 risparmiatori, in gran parte nordestini illusi dal guadagno facile. 
Eppure, nonostante tutto, nonostante gli scandali, i drammi familiari, la disperazione e pure i suicidi, ecco spuntare un nuovo caso di finanza spericolata e popolare. Succede in Veneto e Friuli, dove migliaia di investitori hanno affidato i loro risparmi a un gruppo che nasce fra le campagne veneziane di Portogruaro per ramificarsi in Croazia, Slovenia, Inghilterra e Stati Uniti con il nome rassicurante di Venice Forex Investment group. Sorprendono i numeri: oltre 3.000 clienti per più di 50 milioni di capitale investito, con una media per risparmiatore superiore ai 15 mila euro e una punta solitaria di 8 milioni di un industriale veneto. Per la maggior parte si tratta di piccoli imprenditori, professionisti, agricoltori, artigiani ma anche gente di finanza e pure qualche carabiniere. 
Tutti conquistati dalle promesse di un ex manager del turismo di 53 anni al più sconosciuto, Fabio Gaiatto, che si è reinventato negli ultimi anni trader di finanza. Sull’onda della disaffezione dei nordestini per il sistema bancario, Gaiatto ha proposto un prodotto chiamato Forex, compravendita di valute, rispetto al quale passava per essere un genio. Come sia finita lo sanno bene i suoi clienti, ma anche il procuratore di Pordenone Raffaele Tito e la pm Monica Carraturo che sulla vicenda hanno aperto un’inchiesta per truffa aggravata, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, appropriazione indebita e ora anche riciclaggio. Sui loro tavoli ci sono un centinaio di querele, presentate da chi non ha più rivisto le somme investite. Al momento il fascicolo vede tre indagati, Gaiatto e due suoi collaboratori, per un buco da 37 milioni di euro. «L’operatività riguarda flussi di denaro da e per la Croazia di considerevole ammontare, a cui si aggiungerebbero prelievi di denaro contante presso gli sportelli automatici della banca eseguiti con carte aziendali emesse da operatori croati», scrivono in un’informativa gli uomini del Nucleo di Polizia economica e finanziaria di Venezia. 
Come dire, il denaro era incassato da qualcuno, più che investito dal gruppo. Ma i magistrati vogliono anche capire quali siano i rapporti di Gaiatto con un personaggio legato alla camorra, Gennaro Celentano, visto più volte in sua compagnia. I beni informati dicono che fino a qualche mese fa Celentano fosse venuto al Nord per tentare di recuperare il denaro investito da altri. Ma sono solo di voci, su cui sono in corso verifiche. «Di certo c’è che l’inchiesta si sta ingigantendo. Chiediamo la collaborazione dei cittadini per ricostruire il giro dei soldi», sollecita il procuratore. 
«Siamo stati dei polli»Si tratta di una versione riveduta dello schema Ponzi: rendite altissime ai primi che si affacciano al sistema e poi collasso. «Dicevano che Gaiatto era velocissimo a comprare e vendere valute e sempre in guadagno», racconta oggi Carlo Mazzichi, un ex ufficiale della Marina che gli aveva dato 30 mila euro e si sta ancora leccando le ferite. Aveva creduto alla chiacchiera e i primi risultati gli davano ragione: circa il 10 per cento al mese di interessi, che venivano accreditati giorno per giorno. Tutti potevano seguire quotidianamente la crescita del proprio capitale. Bastava un clic sul profilo personale del sito della società e compariva il dettaglio della propria posizione. «Ma quello era denaro virtuale, non reale», conclude amaramente Mazzichi.
Sorprende il fatto che le operazioni avvenissero sotto gli occhi della Consob. Già il 21 ottobre del 2016 gli ispettori della Commissione nazionale per le società e la borsa contestavano infatti a Gaiatto la violazione della legge sull’esercizio dell’attività d’investimento. Nove mesi dopo, il 20 luglio 2017, la Consob concludeva così: «Sanzione amministrativa di 15 mila euro per l’attività illecita». Quasi una beffa. Perché proprio in quei nove mesi il gruppo Venice ha conosciuto il suo periodo più florido, articolando la struttura in varie società estere, dal Delaware (Usa) a Londra, dalla Slovenia alla Croazia. Dopo la multa sono sorti i problemi. I clienti che chiedevano la restituzione del capitale investito hanno cominciato a fare i conti con continui rinvii. Fino a rivolgersi ai loro legali. «Io ne assisto 14 – conta l’avvocato Eva Salbego di Padova —. Diversi sono parenti, coinvolti dai mariti, dai compagni, dai figli. Erano convinti di essere in mano a qualcuno dell’alta finanza». Il suo collega Eraldo Sparvieri di Pescara ne difende altri quattro, dei quali due si occupano pure di finanza. «Io e il mio socio lavoriamo nel trading di bitcoin e volevamo diversificare il portafoglio – spiega D. M., 38 anni, uno dei due operatori in criptovalute —. Dopo i primi cinque mesi di pagamenti puntuali abbiamo deciso di versare 50 mila euro. E da allora fine, lui irreperibile, le insegne sparite. Siamo stati proprio dei polli». 
Lui: sono stato traditoMa lui, l’ex direttore d’albergo, cosa dice? «Sono stato tradito da due collaboratori incompetenti che mi hanno sottratto 12 milioni. Si tratta di mercenari e malfattori...», ha dichiarato agli inquirenti, a cui ha ammesso solo l’esercizio illecito dell’attività d’investimento. E il buco è di 37 milioni? «Quella è la somma che lui dovrebbe restituire se tutti i clienti glielo chiedessero – ha spiegato l’avvocato Loris Tosi che con Luca Ponti difende Gaiatto —. Ma dei 3.000 moltissimi hanno già recuperato il capitale investito inizialmente e oltre. Vorrebbero però gli ulteriori guadagni». Gaiatto si è presentato dal procuratore con un computer e lo ha invitato a osservare. «Guardi, non è un bluff». E si è messo a smanettare per poi chiedere, e ottenere, del tempo allo scopo di sistemare le cose. Non si sa come evolverà l’indagine. Si sa però che ancor una volta migliaia di investitori sono rimasti incastrati. E il sogno del guadagno facile è sfumato in un clic.