Corriere della Sera, 17 giugno 2018
«Centri di accoglienza in Africa sotto la bandiera dell’Europa». Intervista al ministro Moavero Milanesi
Alla Luiss, Enzo Moavero Milanesi fa gli scatoloni. Il professore di diritto europeo, 63 anni, libera l’ufficio perché da ministro degli Esteri non avrà tempo di fare altro. Meno ancora in questi giorni di emergenze sui migranti.
Matteo Salvini ha chiuso i porti a altre due navi. Spinge gli altri Paesi ad aprirsi, o alla lunga rischiamo chiusure verso l’Italia?
«La questione dei migranti è la più calda in Europa. È sempre più sentita dall’opinione pubblica e su di essa l’Unione Europea è rimasta latitante per troppi anni. Attraverso continui rinvii, discussioni e dichiarazioni, non ha mai affrontato davvero questo evento epocale».
È questo che sta esacerbando gli elettori e anche le reazioni dei governi?
«Contribuisce, sì. L’Ue ha procedure e regole inadatte, perché concepite prima che il fenomeno migratorio diventasse così acuto. E non ha mai trovato l’accordo per modificarle a fondo, perché i governi si arroccano sui propri interessi. Così i Paesi più esposti geograficamente, dove arrivano i migranti, soffrono di norme – le “regole di Dublino” – che mettono su di loro la stragrande maggioranza degli oneri. E i Paesi meno esposti di fatto se ne chiamano fuori. Per l’Europa è gravissimo; mina l’anima stessa del processo di integrazione: cooperare, condividere e trovare punti d’incontro».
Ma l’Italia ha contribuito a respingere il compromesso Ue per rivedere le regole.
«L’ipotesi di compromesso non soddisfaceva quasi nessuno e ora il rischio concreto è un ennesimo nulla di fatto al vertice Ue che si tiene il 28 di giugno. A meno che non ci sia, finalmente, un sussulto di volontà politica. Noi lo auspichiamo».
Il governo si è schierato con l’Ungheria e gli altri Paesi di Visegrad, che rifiutano una redistribuzione dei richiedenti asilo. Perché?
«Tanti Paesi, Italia inclusa, avevano un’opinione negativa sul compromesso, ma le ragioni del no erano spesso opposte. Era un testo insufficiente: manteneva troppi obblighi per gli Stati di primo arrivo e riduceva le tutele per quelli di eventuale destinazione finale. L’Italia era già contro con il governo precedente. Quest’”alleanza” fra Italia e Visegrad mi pare più frutto di congetture che di fatti».
Chiudere i porti vuole essere un segnale per smuovere lo stallo, ma è sostenibile?
«Nella fase attuale l’elemento di segnale politico esiste, perché il nostro obiettivo è scuotere le coscienze dei governi per arrivare a un cambio di passo. Ma è vero che le rotte nel Mediterraneo espongono l’Italia più di altri e inquietano i cittadini. I migranti cercano l’Europa, eppure le stesse regole europee spesso li bloccano nel Paese in cui arrivano. Sono tornate le barriere e l’Italia le subisce. Noi pensiamo che la Ue, nel suo insieme, debba impegnarsi molto di più. La questione è europea e dev’esserlo anche la soluzione, coerente con i valori che reggono la vita dell’Unione: sempre che si creda davvero in una parola del genere. Per questo, bisogna riformulare radicalmente queste regole che frammentano le responsabilità».
Il governo presenterà una proposta al vertice Ue?
«Sì. Vogliamo favorire il cambiamento. In primo luogo per garantire il più rigoroso rispetto dei diritti dei migranti, a partire dai diritti fondamentali».
Che significa?
«Per esempio, informare meglio chi parte per ragioni economiche su cosa lo aspetta durante il viaggio: avvertire degli abusi, dei rischi gravi, della difficoltà di trovare un lavoro degno. Diversa questione è quella dei rifugiati che hanno diritto all’asilo, ma che vanno ripartiti in modo più equo in tutta Europa. Proporremo strumenti per evitare oneri gravosi sullo Stato di primo arrivo e la possibilità per gli altri di sottrarsi, rifiutando una solidarietà europea di accoglienza. Possiamo capire le motivazioni di tutti ma va trovata una convergenza, salvo svuotare di significato la stessa Unione Europea».
Sa anche lei che sarà difficile.
«Più difficile che smettere negli anni 50 di combattersi tra europei dopo secoli di conflitti sanguinosi? Allora vinti e vincitori si misero al tavolo per avviare l’unificazione europea».
Cosa prevede la vostra proposta?
«Di agire quanto più possibile nei Paesi d’origine e di transito, nel rispetto dei diritti umani e per contrastare questo orribile traffico di persone. Significa, per i richiedenti asilo, poter fare tutte le verifiche prima che si mettano in viaggio».
Hotspot in Eritrea o nelle aree controllate da Boko Haram?
«Non mi piace il termine hotspot, li chiamerei centri di assistenza, informazione e protezione. Servono nei Paesi da cui si parte, se possibile, o nelle regioni adiacenti e nei Paesi di transito. Devono essere centri europei, con la bandiera blu a 12 stelle e personale di tutti gli Stati Ue. Penso a centri lungo le rotte, ai quali ci si possa riferire per avere aiuto, informazioni veritiere e anche mezzi per tornare indietro. Le odissee che affrontano queste persone sono tragiche. Durano mesi, anni. Pensiamo a punti di riferimento e rifugio, dove si possa magari cambiare idea e rientrare. Nei casi chiari di diritto di asilo, la verifica va organizzata il più vicino possibile ai luoghi di origine, dove individuare anche la destinazione più appropriata nella Ue; dopo, le persone vanno fatte viaggiare in condizioni degne».
Perché insiste sul fatto che i centri debbano essere europei?
«Per garantire una corresponsabilità di tutti. Se ogni europeo sa che ci sono anche propri connazionali, la fiducia nelle verifiche e nelle scelte sarà maggiore. Ciò permetterebbe di sottrarsi ai trafficanti, ma non basta. L’Ue deve investire per migliorare le condizioni di vita e lavoro nei Paesi da cui partono i migranti economici; bisogna assicurare una migliore istruzione e formazione: in breve, agevolare il passaggio a una società moderna e con prospettive. Quando avvenne in Europa e in Italia, arrestò l’emorragia degli emigranti. Ecco un tema prioritario per il prossimo bilancio dell’Unione, per un suo salto di qualità. Occorre un impegno più serio a favore della pace e della democrazia, dove ci sono guerre e regimi liberticidi. Vedo le difficoltà, ma il tempo non è molto. Quali sono le alternative? La questione migratoria sta cambiando ovunque le opinioni pubbliche e incide sempre più nelle elezioni. Cercare di evitare il problema non lo risolverà».
Niente «asse», per dirla con il cancelliere viennese Kurz, fra Italia, Germania e Austria?
«A parte la terminologia piuttosto infelice, credo che in Europa chiunque sia animato da buona volontà debba convergere; in un’ottica di risultato, rinunciando agli egoismi divisivi e alle rivendicazioni».
Metterete un veto alla riconferma delle sanzioni Ue alla Russia?
«Nel governo è in corso una seria riflessione. All’Italia non piacciono le dispute fra Stati; la vocazione alla pace e alla cooperazione fra i popoli è esplicita nella nostra Costituzione. Siamo anche il secondo Paese europeo per esportazioni fuori dall’Ue, quindi abbiamo un interesse a che i mercati mondiali siano aperti. Tuttavia, ogni ragionamento d’interesse deve svolgersi tenendo presenti le norme che disciplinano i contesti internazionali e i doveri che ne discendono».