Corriere della Sera, 17 giugno 2018
Tempo di Guelfi a «difesa» della Rai
Guelfo Guelfi, membro del cda della Rai, ha scritto una lettera al Foglio con una chiusa minacciosa: «Ora arrivano quelli bravi: allacciare le cinture. Penso che sappiano che noi li terremo d’occhio e non li ripagheremo della stessa moneta. Potremmo diventare noiosi, che a casa mia significa fastidiosi, parecchio». Temo anch’io che le cose andranno sempre peggio e che sarà necessario vigilare, ma le intimidazioni di Guelfi paiono quantomeno temerarie, visto che quando è stato nominato il suo curriculum parlava d’altro. In Rai s’impara in fretta, o si crede di. Guelfi si vanta ora del bilancio in ordine (vero, ma con il canone in bolletta non è stato difficile). Si vanta dell’audience. Si vanta di Fazio e di Alberto Angela, Bolle e Vespa; dei «risultati di Amadeus, di Montalbano, di Don Matteo, del vicequestore Schiavone, e con sullo sfondo i Medici e il Nome della Rosa». Peccato che, consigliere in quota Pd, abbia contribuito a far fuori l’ad Campo Dall’Orto, che stava tentando di trasformare la Rai in una media company moderna. Se la Rai avesse fatto un balzo in avanti, oggi sarebbe più difficile asservirla e continuare a considerare il servizio pubblico come un bottino di guerra. Come di sicuro faranno i prossimi amministratori.
Forse il problema è proprio la Rai: privatizzarla, tutta o in parte, non è mai troppo tardi.