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 2018  giugno 17 Domenica calendario

Meglio, dunque peggio

Abbiamo scritto che il caso Lanzalone dimostra ancora una volta due dei vizi d’origine dei 5Stelle: la mancanza di una classe dirigente affidabile e la disinvoltura nella scelta dei collaboratori. Non è così: magari lo fosse, ma purtroppo non lo è. È molto peggio: è la prova dell’inquinamento endemico e sistemico della “società civile”. Ci eravamo fidati della vulgata dominante sui media: il genovese Lanzalone deve per forza essere amico di Grillo, e dunque dei Casaleggio, che per forza devono averlo piazzato prima a Livorno come consulente della giunta Nogarin e poi, tramite le loro marionette Fraccaro e Bonafede, a Roma come consulente della giunta Raggi, su su fino alla presidenza di Acea. Invece è tutto sbagliato. Lanzalone non è amico né di Grillo né dei Casaleggio, che non conosce fino a quando approda a Livorno. E come approda a Livorno? Lo chiama il sindaco M5S Filippo Nogarin, che ci racconta tutto a pagina 3. La procedura è improntata a imparzialità e meritocrazia, in linea con i principi dei 5Stelle: curriculum e competenza. Avendo ereditato la municipalizzata dei rifiuti Aams sull’orlo del fallimento, Nogarin e gli assessori Lemmetti e Martini avviano uno scouting fra decine di studi legali specializzati in diritto societario. Ascoltano avvocati su avvocati sulle soluzioni per salvare l’Aams. E alla fine scelgono chi propone quella che pare la migliore (una versione moderna e un po’ ardita del concordato preventivo in continuità): Lanzalone, affiancato da un civilista, un amministrativista e un giuslavorista.
La scelta si rivela azzeccata: oggi l’Aams fa utili annui per 8,8 milioni (anche se il sindaco è ancora indagato per la fantomatica bancarotta fraudolenta di una società che non solo non è fallita, ma è in attivo). Nogarin chiede che all’ultimo colloquio con i quattro professionisti partecipino Di Maio e Bonafede, che con Fraccaro formano lo staff “Enti Locali” del Movimento. Saranno infatti Bonafede e Fraccaro, quando esploderà a Roma la bomba dello stadio, a indicare Lanzalone alla Raggi. Anche lì, con buoni risultati. Una querelle che pareva destinata comunque al disastro – o lo stadio-ecomostro con le tre torri e le speculazioni intorno, o niente stadio con i tifosi sotto il Campidoglio e la casa della sindaca e magari qualche penale milionaria da pagare al costruttore Parnasi – viene risolta con un onorevole compromesso: via le torri e la speculazione, cubature dimezzate. È con quel curriculum che Lanzalone viene incaricato di scrivere il nuovo statuto 5Stelle (Di Maio capo al posto di Grillo) e di seguire le cause con gli espulsi.
E fu nominato presidente di Acea (dove nessuno eccepisce sulla sua competenza). Poi i pm scoprono – dalle intercettazioni – ciò che nessuno può sapere: Lanzalone ha avuto incarichi per 100 mila euro da Parnasi. Secondo la Procura è corruzione, ma già fin d’ora si può parlare di conflitto d’interessi. Il resto – i traffici di Lanzalone per diventare presidente di Cassa Depositi e Prestiti e il suo turbillon di cene, telefonate e millanterie con questo o quel politico per acquisire meriti agli occhi del M5Stelle e dei possibili alleati (sia Lega sia Pd) – non è reato: è solo la prova del delirio di onnipotenza e di Mr.Wolf, che non vuol perdere l’occasione della vita.
Ecco perché dicevamo “magari” e “purtroppo”. Se Lanzalone fosse sbarcato a Livorno e a Roma grazie alle spintarelle a catena di Grillo, Casaleggio, Bonafede, Fraccaro e Raggi, saremmo di fronte all’ennesima puntata della commedia all’italiana, o dell’eterna Comédie humaine. Potremmo associarci al coro dei giornaloni: i 5Stelle sono come gli altri, mandano avanti gli amici con tanti saluti alla trasparenza e meritocrazia. Dunque il rimedio sarebbe facile: sfumata anche quest’occasione, non resta che affidarsi ad altri che in futuro sappiano scegliere finalmente collaboratori competenti in una casa di vetro (non certo a chi oggi dà lezioni, dopo aver scelto i Buzzi, i Carminati, gli Odevaine, gli Alemanno, giù giù fino a Civita che sistema il figlio).
Invece Mr.Wolf esce da una procedura di selezione più che corretta. Tutto si può rimproverare a Nogarin e Raggi fuorché di aver scelto un incompetente o un manigoldo. Aveva un curriculum all’altezza, Lanzalone? Sì. Ha superato la concorrenza di altri esperti? Sì. Aveva la fedina penale pulita? Sì. Aveva indagini in corso? No. Aveva mai dato adito a sospetti? Mai. Eppure ora è agli arresti domiciliari. Nessuno intellettualmente onesto poteva dire, fino a una settimana fa, che fosse una mela marcia o bacata. Ora col senno di poi si può dire che la mela s’è guastata dopo. Ma non c’è fedina penale né curriculum che possa garantire l’impermeabilità alla corruzione, ai conflitti d’interessi o ad altre tentazioni. Come si seleziona, allora, la classe dirigente? Col metodo Nogarin. Ma affiancato da nuove leggi sui conflitti d’interessi, sui soldi ai partiti e sui redditi di chi ricopre incarichi pubblici o semi-pubblici. E da agenti sotto copertura a testare l’integrità di chi maneggia denaro dei contribuenti. Un anno fa Franco Bechis, su Libero, andò a spulciare i finanziamenti di Parnasi a decine di consiglieri comunali di Roma e regionali del Lazio. Soprattutto Pd e FI, nessun M5S. Tutti finanziamenti leciti (come quelli emersi ora a Lega e Pd), ma solo grazie a una legge criminale e criminogena che consente di occultare le stecche fino a 100 mila euro (per non parlare di fondazioni e onlus legate a partiti e singoli politici). E non vieta ciò che dovrebbe proibire: chi amministra Comuni, Regioni, ministeri non può prendere soldi da aziende che contrattano appalti. Perché quelli non sono contributi elettorali: sono mazzette mascherate in cambio di favori passati o futuri.