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 2018  giugno 17 Domenica calendario

La Norimberga anticipata

Le luci che si spegnevano sull’Europa; la catastrofe del secondo conflitto mondiale del ’900; i popoli in preda a rabbiose pulsioni dominate da ideologie sopraffattrici; la ragione che abbandonava le coscienze per gli istinti più egoistici e violenti. Ecco quanto di più straordinario, nella loro originalità e nella loro lucidità narrativa, possiamo cogliere individuando tre proposte tutte rivolte a tratteggiare momenti della Germania nazista ( None Shall Escape di André De Toth,  Lights out in Europe di Herbert Kline,  Ma vie en Allemagne au tempo de Hitlerdi Jerôme Prieur), fra le numerosissime pellicole scoperte, ritrovate, restaurate, riportate a nuova vita in questa 32ª edizione del festival “Il Cinema Ritrovato” (Bologna, 23 giugno – 1 luglio), messo a punto dalla Cineteca bolognese con la consueta competenza da “cinefili”, ma guidato allo stesso tempo da un’appassionata ricerca di nuove letture della nostra vicenda storica. 
E questo periodico rinnovarsi, lungo ormai oltre tre decenni, di simili impreviste rivelazioni di autori e di produzioni sperduti nelle pieghe di storie stupefacenti o magari banali, non fa che dimostrare come il cinema sia divenuto forse il più esauriente archivio della società contemporanea: là dove giacciono – così come nei tradizionali archivi cartacei – a volte ben evidenziati, a volte nascosti dall’oblio più polveroso, quei documenti che raccontano di noi, del nostro intreccio di sentimenti alle prese con le opportunità o le chiusure di una realtà sempre difficile da decifrare nel suo divenire. De Toth, ungherese trasferitosi nel 1939 in Inghilterra, poi a Los Angeles, regista di qualche fama, concepisce nel ’43 e realizza l’anno successivo questa sorprendente pellicola, dove anticipa gli esiti della guerra ancora in corso, ipotizzando lo svolgersi, nel suo caso a Varsavia, di quello che sarebbe stato il processo di Norimberga, dove i nazisti avrebbero dovuto render conto delle loro azioni criminali. Le parole apposte in apertura danno subito conto di questa sorta di profezia: «Il tempo di questa storia è il futuro. La guerra è finita. Come promesso, i criminali di guerra sono stati riportati sui luoghi dei loro crimini per essere processati».
E le ultime parole del film sono affidate al giudice che ha guidato lo sviluppo dell’udienza svolta nei confronti di un commissario del Reich di stanza in Polonia: «Uomini e donne delle Nazioni Unite, tutti quanti voi siete la giuria. Starà a voi il compito di giudicare infine tutti i criminali e determinare la pena che essi meriteranno». In effetti al regista interessa soprattutto porre in evidenza l’incapacità dell’individuo, succube di funeste ideologie, di assumere le proprie responsabilità morali, fino a sprofondare in un abisso di perversione, per nulla prevedibile – come nel caso tratteggiato – all’inizio della sua vicenda umana. Illuminato da una splendida resa fotografica, il film è costruito con un’eccezionale fluidità narrativa attraverso il succedersi di flashback offerti dalle testimonianze del prete del villaggio, del fratello dell’imputato e della sua prima fidanzata. Tutti in vario modo da lui traditi e perseguitati quando, divenuto ufficiale dell’esercito tedesco, aveva esercitato il suo dispotico potere, fino a macchiarsi direttamente di omicidi, proprio nel villaggio in cui aveva precedentemente vissuto. Lights out in Europe ha, invece, un taglio documentaristico, poiché all’autore, l’avventuroso giornalista e regista Herbert Kline, ebreo ma sempre pronto a fingersi seguace di Hitler per poter effettuare le sue riprese, importava descrivere in modo realistico il dramma di un’Europa (siamo nel 1940) in preda alle angosce di una guerra imposta dal nazismo. Descrive le sue prime fasi attraverso i preparativi di resistenza degli inglesi, l’ingresso delle truppe tedesche a Danzica, il tragico bombardamento di un treno con donne e bambini polacchi effettuato da aerei tedeschi. Resta impresso nello spettatore il ritmarsi delle marce effettuate dalle folle e dai soldati tedeschi in un meccanico procedere verso un minaccioso obbiettivo. Significativo che l’autore nel Dopoguerra americano fosse interdetto dal lavoro fino al 1970, in quanto proscritto dalle liste maccartiste. 
Rappresenta un vero e proprio evento la proiezione del lavoro di Jérôme Prieur, Ma vie dans l’Allemagne d’Hitler, in quanto il prossimo 28 giugno sarà in anteprima al Memoriale della Shoah di Parigi ed il giorno successivo verrà proiettato a Bologna. La sapiente ed evocativa scelta di immagini d’epoca, riguardanti una quotidianità presto violentata dal potere hitleriano, accompagna la lettura, affidata alla melodia malinconica della voce di Ute Lemper, di una scelta fra le migliaia di lettere, finora dimenticate, inviate da ogni angolo del mondo da quei tedeschi che all’avvento della dittatura abbandonarono il Paese e che a questo furono sollecitati da un’inchiesta organizzata nel 1939 da tre professori di Harvard, per comprenderne le motivazioni. Si succedono, in tal modo, le parole di dolore, di incredulità, di perdita di riferimenti dei tanti, non solo ebrei, ma pure cattolici, protestanti, atei, socialdemocratici, oppositori a vario titolo, che compresero il dramma senza fine nel quale si stava perdendo la civiltà stessa del loro Paese.