Il Sole 24 Ore, 17 giugno 2018
Protestare con un gesto eclatante
Celeste Ng, americana di origini cinesi, ama sorprendere i suoi lettori partendo sempre da un mistero. Il romanzo è una risposta esorbitante a una domanda appena formulata, e per questa ragione non disdegna di avventurarsi nei sentieri tortuosi di una trama ottocentesca, con tanti personaggi, segreti, scambi di persona, rivelazioni improvvise. In questo ultimo libro, edito da Bollati e Boringhieri e tradotto da Manuela Faimali, il lettore si trova di fronte al fascino distruttivo di Tanti piccoli fuochi. Le fiamme dell’incendio, descritte nelle prime pagine, sono potenti non solo perché radono al suolo la casa dei Richardson, distruggendo l’illusione di una famiglia perfetta, ma perché sconvolgono l’equilibrio di una intera comunità, quella di Shaker Heights, a Cleveland nello stato dell’Ohio. Non è tanto importante capire chi ha causato l’incendio – i sospetti, infatti, cadono subito su Izzy, la figlia ribelle – quanto scoprire cosa ha indotto questa quattordicenne solitaria e impulsiva a dar voce alla sua protesta con un gesto tanto eclatante.
Nella fine si nasconde sempre un inizio. E la sottile indagine di Celeste Ng ricostruisce dalle macerie una storia avvincente, in cui i destini di due famiglie molto diverse e di cinque adolescenti si incontrano sullo sfondo di uno scenario quasi utopico, tra gli anni ’80 e ’90, i più felici della supremazia americana. Le lotte per i diritti civili e la guerra del Vietnam sono un ricordo lontano nella memoria degli adulti e nessuno può ancora prevedere l’aggressiva politica antiterroristica del nuovo millennio. Il microcosmo ordinato di Shaker Heights, la comunità progressista, fondata negli anni ’60, non si lascia turbare dalla crescente immigrazione, anzi accoglie stranieri e cittadini meno abbienti con la promessa di offrire anche a loro un alloggio decoroso nella planimetria ordinata e razionale della città. Strade alberate, giardini e laghetti abbelliscono con uguale cura l’imponente villa dei Richardson che Elena divide con il marito e i quattro figli, e la casetta bifamiliare di Winslow Road dove vivono le loro affittuarie, l’artista Mia Warren e la sedicenne Pearl.
Rassicurante e protettiva, la vita a Shaker Heights aspira troppo alla perfezione. Se ne accorgono subito le due Warren, anticonformiste e nomadi per vocazione, approdate nell’Ohio quasi per caso e tentate di rimanerci per sempre. Pearl è infatti attratta dalla vita dei suoi nuovi amici, essere accolti nella loro casa, ammette a se stessa, è come entrare «nell’idea di una casa». Mia, invece, rimane l’osservatrice riservata di sempre, indifferente alle lusinghe e immune dai pregiudizi. L’artista accetta di lavorare come domestica a casa di Elena e di servire ai tavoli di un ristorante perché entrambi i lavori le permettono di continuare a scattare fotografie. Le due donne si scrutano con interesse reciproco sapendo di incarnare due tipologie opposte di madri: Elena è una matrona in carriera orgogliosa dei suoi “gioielli” e rammaricata perché non tutti le assomigliano come vorrebbe; Mia è invece una Robinson Crusoe al femminile, indipendente e fiera fino al punto di nascondere alla figlia il suo passato e l’identità del padre.
Se l’ordine è mantenuto grazie alla natura cauta degli adulti, la macchina romanzesca si mette in moto proprio a partire dai figli, dai loro movimenti curiosi e ingenui, un intreccio di idealità appena consapevoli che si scontra con il perfezionismo astratto dell’ambiente. Attraverso un narratore onnisciente, imparziale rispetto a personaggi, ma attento a soddisfare le attese dei lettori, la scrittrice lascia trasparire tanti conflitti latenti con delicatezza e profondità straordinarie. Il fuoco del titolo diventa la materia incandescente dei sogni sopiti o degli errori imperdonabili, a partire da quel legame oscuro che si stabilisce tra una madre e i suoi figli.
Quando a Shaker Heights scoppia il caso della bambina cinese, contesa tra la madre naturale, collega di Mia, e la famiglia adottiva, amica dei Richardson, i contrasti sembrano invalicabili, eppure nessuno saprà veramente da che parte stare. Ne è prova il fatto che le linee di ricerca si moltiplicano dentro la cornice del romanzo. Da un lato, infatti, ci sono le udienze del processo con la sua faticosa ricerca di giustizia (e il dilemma tra l’imprecisabile “bene” e il pragmatico “benessere” della bambina è reso con insidioso realismo). Dall’altro c’è l’indagine “sotto copertura” che la giornalista Elena porta avanti all’insaputa dei suoi familiari, convinta che dietro il passato di Mia ci sia qualcosa da smascherare. A un terzo livello, ed è quello più interessante, si pone l’indagine sulla relazione madre-figlio in tutte le forme: dall’aborto all’adozione, dall’abbandono alla maternità assistita o surrogata. Per quanto agli antipodi, anche Elena e Mia sperimentano l’effetto destabilizzante di questo rapporto, quello che Natalia Ginzburg, in un noto pamphlet, definiva «muto e senza idee».
Una comunità prospera nell’illusione che gli errori siano solo una mancanza di calcolo, e intanto piccole donne crescono intuendo segretamente che ogni errore offre loro la possibilità di essere se stesse. Celeste Ng si rivela bravissima nel controllare la trama, e nel far sì che i fatti parlino lasciando trapelare anche quello che le persone talvolta non riescono a dire.