Il Sole 24 Ore, 17 giugno 2018
L’«amor oscuro» tra Vicente Aleixandre e Miguel Hernández
Non so come riuscii ad arrivare alla Calle Velintonia, dove viveva il poeta Vicente Aleixandre. Eravamo nel giugno del 1956, quando trascorsi una lunga estate a Madrid e avevo vent’anni. Aleixandre era un uomo malaticcio ed estremamente cortese; faceva parte della stessa generazione di Lorca del quale conservava molti ricordi e molti aneddoti. La sua poesia, profonda e crepuscolare, non rifletteva una visione ottimistica della vita e ben poco concedeva alla grazia che viene dai sogni e dai colori. Sapeva di terra e di sostanze naturali. Era ben cosciente delle difficoltà nelle relazioni umane, della condanna che l’amore implica e non a caso uno dei suoi libri più famosi si intitola La destrucción o el amor nel quale evoca la difficoltà nell’unione di due carni, mentre in un altro verso annota «come ti dimentico mentre ti bacio!».
Nonostante questo pessimismo Aleixandre sembrava un uomo sereno, affabile, pieno di buon senso anche se attorno a lui volteggiava un’aura di tristezza. Lo vidi molte volte in quei mesi, parlò molto con me e apprezzò la mia compagnia. Nello stesso tempo ciò non costituiva la sola verità: qualcosa restava sempre muto nel suo cuore. Era, in una parola, un conversatore timido. Sembra che io dica cose contraddittorie ma è così che lo ricordo: nitido, disteso su una sedia a sdraio nel suo piccolo giardino lontano dal centro, leggendo con pazienza i miei tediosi componimenti poetici e consigliandomi possibili ritocchi. Un giorno mi disse una verità che data la sua estrema cortesia gli sarà costato molto proferire: «Ascolta, devi vivere di più e scrivere di meno». Persino la vita quotidiana gli doveva risultare difficile in quegli anni ancora sotto la dittatura di Franco. Don Vicente non si era mai occupato di politica anche se era stato grande amico degli intellettuali e dei poeti della Spagna repubblicana. Non solo di Lorca ma, ancor di più, di Miguel Hernández. Quest’ultimo, grande poeta laico, gli aveva dedicato la bellissima ode che inizia «Tu padre el mar te condenó a la tierra». Aleixandre non era andato in esilio per motivi di salute e non era stato incarcerato come lo sventurato Hernández che vi morì nel 1942, poco più che trentenne. Comunque, nonostante vivesse ritirato e prudente, la polizia del regime non lo perdeva d’occhio e occasionalmente lo disturbava. Un giorno in cui lo trovai particolarmente depresso mi confidò che era stato invitato da un funzionario della censura a ritoccare alcune poesie che risultavano troppo erotiche per l’uso della parola muslo (coscia). Chi avrebbe detto allora che una ventina di anni più tardi il mio grande amico avrebbe avuto il Premio Nobel? Ves, todo es difícil. Ricordo bene le sue parole e la sua saggezza rassegnata nel cui fondo si indovinava un vulcano non spento.
Aleixandre era malato da molti anni e subiva quel che gli amici chiamavano «una pessima salute di ferro» (morì a 86 anni nel 1984). La sua fama non ha fatto che aumentare col tempo. Era già considerato una guida dai giovani della mia generazione e dopo, il più noto romanziere spagnolo, Javier Marías ne parla in Negra espalda del tiempo: «Uno degli anziani più affettuosi che ho conosciuto, spesso parlava sorridendo delle sue malattie, chiamandole “le mie cicatrici”». Recentemente sono state pubblicate molte lettere inedite di Alexandre e Hernández: il 18 dicembre 1938 Vicente, che passava intere giornate a letto, scriveva: «Ci sono sere in cui si aprono i cuori. Tu conosci i miei meccanismi intimi, le maree, le schiume della mia anima, è vero? Oceano, vulcano, selve, leoni... tutto è in me, incluse l’ira e l’amore. Mi dolgono persino le palpebre».
Questa e molte altre lettere testimoniano come senza dubbio la relazione più forte che Vicente ebbe sia stata quella con Miguel, un rapporto quasi omosessuale o, meglio, una amitié amoureuse che non ebbe mai alcunché di carnale. In un’occasione Miguel scriveva «ho dimenticato di dirti che leggendo La destrucción o el amor mi sento un primitivo, così ben diretta è la tua sensibilità poetica e così ben reso il tuo sentimento dell’universo». L’autore del libro a cui ci riferiamo, J. Riquelme, accenna come negli anni della Spagna repubblicana e addirittura in piena Guerra Civile i nostri poeti, Lorca e Cernuda, scrivevano liriche che sorgevano dalla loro herida: questa ferita era un segreto arcinoto, le loro inclinazioni. La corrente inizia coi celebri Sonetos del amor oscuro di García Lorca dedicati a Rafael Rodríguez Rapún, un giovane sportivo che Lorca riuscì a far innamorare di sé. Le relazioni fra Aleixandre e Hernández assursero invece ad un affetto familiare e dopo la feroce morte di Miguel nel 1942 fu il primo ad occuparsi della vedova e del figlio del secondo. Lo stesso Aleixandre lo spiega in una lettera di qualche anno più tardi «quante volte ho parlato con Miguel Hernández di questi argomenti. Lui era per me un fratello, un fratello minore, entusiasta... aveva un cuore enorme che traspariva dai suoi occhi così come dalla sua poesia... in lui non c’era né sciocchezza né affettazione né intransigenza, era un’anima libera che guardava gli uomini con uno sguardo chiaro».