Il Sole 24 Ore, 17 giugno 2018
Deutsche Bank sotto tiro negli Usa: sui test della Fed l’ombra di Trump
«The bank is in trouble conditions», secondo la Federal Reserve. Ovvero: la banca è in condizioni problematiche. Trattandosi di Deutsche Bank, colosso finanziario tedesco con attività totali per 1.474 miliardi di euro, la traduzione più adatta è che la banca è “nei guai”. Guai che potrebbero diventare seri perchè finire del mirino delle autorità di Vigilanza Usa – che entro due settimane divulgheranno l’esito degli stress test sulle banche operanti in America – proprio mentre divampa la guerra economico-commerciale tra Stati Uniti e Germania, non è certo tranquillizzante per una banca come Deutsche che, in aggiunta alle proprie lacune nei controlli interni, rischia di pagare pesantemente l’ambizione di aver voluto sfidare le grandi banche americane a casa loro nel ricco ma rischioso mercato dell’investiment banking.
Per capire i rischi futuri di Deutsche Bank, e interpretare i segnali di preoccupazione che arrivano dalla Borsa e dal mercato obbligazionario, è necessario ripercorrere la sequenza di avvenimenti delle ultime settimane. A fine gennaio, il ceo John Cryan presenta i conti del 2017 chiusi con una perdita di 512 milioni, terzo anno consecutivo di bilancio in rosso. Pesano gli oneri una tantum della riforma fiscale Usa, ma gli analisti guardano ai deludenti saldi gestionali: i ricavi scendono del 12%, il rapporto tra costi e ricavi è addirittura del 93%. Passano poche settimane e il ceo inglese Cryan viene allontanato e sostituito dal tedesco Christian Sewing. L’iniziativa viene presa dal presidente del consiglio di sorveglianza Paul Achleitner, che era stato promotore dell’ingresso nel capitale di Deutsche del fondo sovrano del Qatar e della conglomerata cinese Hna (entrambi soggetti poco graditi alle autorità Usa).
I fondi Usa contestano Achleitner, anche in assemblea, e mostrano perplessità sull’efficacia del nuovo piano di rilancio del ceo Sewing che punta sul taglio di 7.000 dipendenti e sulla riduzione «graduale» delle attività di investment banking negli USA. L’obiettivo di tagliare 23 miliardi di costi nel 2018 e 22 miliardi nel 2019 viene giudicato poco credibile dal mercato. E viene addirittura bocciato dall’agenzia di rating Usa Standard & Poor’s, che a maggio decide di tagliare il rating di Deutsche Bank. In assenza di novità che impattino su debito e capitale della banca, il mercato si interroga sui motivi della decisione di S&P. Possibile che i dubbi su un piano industriale triennale appena presentato siano l’unico motivo del taglio del rating? Ad alimentare il mistero attorno a Deutsche, è la sequenza di “bad news” in arrivo dagli USA. Pochi giorni prima della decisione di S&P, infatti, indiscrezioni di Wsj riferivano che Deutsche già da un anno era stata inserita dalla Fed tra le banche in «trouble conditions».
Una sequenza di avvenimenti che ha destato allarme sul mercato, come dimostra l’andamento delle quotazioni di Deutsche Bank. Dall’inizio dell’anno le azioni della banca tedesca hanno perso il 40% del loro valore, realizzando la peggiore performance tra le maggiori banche europee. La capitalizzazione di mercato è scesa a 25 miliardi di euro, ed è ormai lontanissima dai due big europei: Santander (89 miliardi)e Bnp Paribas (67 miliardi). Ancora più preoccupante è il nervosismo che si registra sul mercato dei bond: i subordinati At1 sono scesi sotto i 90 centesimi. Ma soprattutto è esploso il costo per assicurare il debito di Deutsche, con i credit default swap che a inizio anno quotavano 60 e pochi giorni fa hanno superato 180 per poi attestarsi tra 150 e 160. Speculazione in vista dell’evento degli stress test Usa? Probabilmente è così, anche se resta un alone di mistero sui reali rischi che Deutsche potrebbe correre. Il capitale primario (Cet1) del gruppo è al 13,4%, ben sopra il livello Srep indicato da Bce. E sopra ai livelli richiesti da Fed sono anche gli attuali coefficienti patrimoniali delle tre controllate Usa di Deutsche. Addirittura eccessiva – secondo gli analisti – è la liquidità, pari a circa 279 miliardi di euro, che dovrebbe mantenere il gruppo al riparo da qualunque crisi temporanea di solvibilità. Perché allora tanti timori su Deutsche?
La risposta, ancora una volta, va cercata negli USA. Recentemente la Fdic, agenzia federale che tutela i depositi, ha rivelato che gli asset delle banche problematiche negli Usa sono balzati da 13,9 miliardi di fine 2017 ai 56,4 miliardi del primo trimestre 2018. Fonti di stampa (non smentite) hanno attribuito questo salto all’ingresso nella “black list” della subsidiary Deutsche Bank Trust Company Americas (Dbtca). «Se fosse vero – scrivono gli analisti di Barclays – non saremmo sorpresi se questo evento portasse alcuni clienti a rivedere le proprie relazioni di business con Deutsche». Il ritiro dei depositi è il maggior fattore di rischio per una banca e, probabilmente, è questa una delle incognite dei prossimi stress test, più che le eventuali richieste di capitale. Le entità di Deutsche sottoposte a stress test sono tre: oltre a Dbtca con sede nel Delaware, che ha attività per 42 miliardi, anche Deutsche Bank Securities Inc (108 miliardi di attività) e Db Usa Corp (150 miliardi di asset). Quest’ultima è la holding per le attività americane di Deutsche e sarà sottoposta per la prima volta all’esercizio di stress. È stata costituita su imposizione delle Autorità Usa, con capitale “segregato” in America, liquidità propria e board di indipendenti. Su DB Corp il main regulator è la Fed e non l’home regulator, ovvero l’Ssm di Bce che nei fatti subirà ogni decisione americana.
Come funziona lo stress test Usa e quali sono le possibili conseguenze per Deutsche? Il sistema statunitense utilizza per il rating delle banche la metodologia internazionale CAMELS, acronimo che sta per Capital adequacy, Asset quality, Earnings, Liquidity, Sensitivity to market risk. Il livello di rating assegnato dalla Fed oscilla tra 1 e 5. I due gradini più alti spettano alle banche in «trouble condition». Se lo stress test di fine giugno confermasse che Deutsche è “in trouble”, il rischio maggiore, riguarda il sostanziale commissariamento che la Fed può decidere. Per le banche in trouble conditions è previsto che ogni nomina, promozione, spostamento o licenziamento di director o senior esecutive manager debbano essere validati dal board dei Governatori della Fed. Restrizioni autorizzative sono previste dalla normativa anche per le remunerazioni variabili e i bonus. In un business come quello dell’investiment banking, e in particolare del capital market, è facile intuire che molti bankers e traders lascerebbero la banca portando alla concorrenza clienti e liquidità. «Il rischio è che le Autorità non concedano a Deutsche il tempo per ristrutturare il business – scrivono gli analisti di Rcs Capital Markets – e questa incertezza può impattare sulla performance operativa». Il problema, commenta un banchiere d’affari, è che «il cost of doing business negli Usa potrebbe diventare proibitivo», innescando una riduzione «disordinata» degli assets.
A giorni si vedrà se la Fed gestirà gli stress test in totale autonomia o se in qualche modo si farà condizionare dall’America First dell’amministrazione Trump che, anche nel settore bancario, punta ad avvantaggiare i colossi Made in USA.