Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 17 Domenica calendario

Atene volta pagina e archivia Grexit

«Il vantaggio per la Grecia? Una valuta stabile». E poi «la stabilità di cornice normativa e istituzionale connessa al suo inserimento nell’Unione Europea». Nella palazzina anonima che ospita Enterprise Greece, il Ceo dell’agenzia governativa che promuove gli investimenti diretti stranieri (e anche l’export), Elias Athanasiou, non ha dubbi nell’indicare quanto differente sia il “rischio Grecia” rispetto a quello di Paesi soggetti al pericolo svalutazioni e a convulsioni o involuzioni politiche, come la vicina Turchia. Certo è un osservatorio di parte, ma può dare qualche lume sulle ragioni di un fenomeno che, se visto con occhiali italiani di recente lega, parrebbe tutt’altro che scontato: come mai ad Atene e dintorni, dopo otto anni di dura austerità e commissariamento delle politiche economiche, non sia affatto di attualità il tema della Grexit. Dall’euro e tantomeno dalla Ue. Il consensus politico e una solida maggioranza della popolazione, anche se magari stremata e disillusa, non ne vuol sentir parlare.
Da queste parti, le ipotesi di Italexit o Quititaly destano una certa sorpresa, temperata dall’idea che l’Italia è più grande e che non sia augurabile a nessuno quello che ha passato il Paese. «La percezione è che uscire comporterebbe aggiustamenti ancora più severi – afferma Dimitris Katsikas, Head del Crisis Observatory di Eliamep –. L’economia resta vulnerabile, tra peso del servizio del debito e livello troppo alto del debito stesso, come dimostrato recentemente dal rialzo dello spread greco sulla scia di quello italiano. Inutile comunque aspettarsi quello di cui avremmo bisogno, come un vero haircut o una sensibile riforma della governance europea».
Sulla via del risanamento 
«È sempre facile dare la colpa di ogni difficoltà ad altri», dice Athanasiou, secondo cui ora la Grecia è sulla via di un risanamento da consolidare, con molti indicatori macro tornati positivi tra cui alcuni migliori di quanto richiesto dai creditori (come l’avanzo primario). «Il nostro modello precedente era poco sostenibile: economia chiusa, basata su consumi e accumulo di debito – prosegue –. Adesso l’economia sta diventando più aperta e diversificata. Attira investimenti esteri anche al di là delle privatizzazioni, mentre l’export cresce, dal food al tech, e ha raggiunto il massimo storico, al pari del turismo. Io stesso mi sono stupito che una dozzina di aziende greche siano andate quest’anno al Salone del Mobile di Milano».
Il +1,4% del Pil dell’anno scorso (+2,3% nel primo trimestre) ha segnato l’uscita dalla recessione, e consentito i primi assaggi di ritorno al mercato dei capitali, dopo 8 anni di sbarramento che hanno portato a tre salvataggi internazionali. «Dal picco di 260mila auto importate eravamo scesi a sole 60mila, ma siamo tornati oltre le 100 mila: segnale di ripresa anche dei consumi», afferma Nektarios Demenopoulos dell’Autorità portuale del Pireo, ora in mani cinesi. A suo dire, anche chi era contrario ora riconosce che il passaggio sotto le ali di Cosco ha rappresentato un caso di privatizzazione di successo, portando più efficienza e più investimenti: «Qualcuno paventava la nascita di una Chinatown al Pireo, ma qui di cinesi ne sono arrivati solo una decina. Ora speriamo che le Ferrovie italiane, dopo aver acquisito quelle greche, procedano a un upgrading della rete per facilitare gli smistamenti via terra». 
Gli ultimi compiti a casa 
Atene ha svolto venerdì gli ultimi intrusivi “compiti a casa” con l’approvazione parlamentare di un pacchetto omnibus di misure richieste, come nuovi tagli alle pensioni, anche per il periodo successivo all’attesa uscita dal bailout che dovrebbe avvenire in agosto (previo il via libera dell’Eurogruppo giovedì prossimo, che concederà un modesto “debt relief”). Un voto tra scioperi e cortei di protesta, senza però tante retoriche antieuropee: semmai, si spera di attutire o svicolare, come nel caso delle insabbiate tabelle di marcia per le privatizzazioni (realizzate solo per un quinto del target). Almeno la pensa così l’uomo che invita alcuni viaggiatori usciti dal terminal dell’aeroporto a «prendere l’X95 per il centro». Lui è con altri tassisti in testa a una lunga fila di vetture gialle ferme(per due giorni consecutivi). «Siamo in sciopero – dice –. Vogliono consentire agli autisti privati di prendere clienti ogni ora invece che ogni tre ore. Il capo del nostro sindacato non è stato all’altezza e ora ci dice che il governo non può farci niente perché è l’Europa che esige ponti d’oro per Uber e simili. Ma non è detta l’ultima parola». 
La questione macedone 
Il trauma del 2015 ha rappresentato uno spartiacque, quando un governo di sinistra radicale, dopo aver promosso un referendum che aveva bocciato l’austerity, al dunque ha evitato scelte di rottura. Le pulsioni da nazionalismo sovranista e populista si sfogano piuttosto sulla questione macedone: grandi proteste venerdì e ieri in piazza Syntagma contro il premier Alexis Tsipras, che ancora una volta ha avuto il coraggio di sfidare l’impopolarità nel raggiungere un accordo sul contenzioso con la confinante Fyrom, che potrà chiamarsi “Repubblica della Macedonia del Nord” (accesa seduta-fiume ieri in Parlamento per consentirgli di andare a firmare oggi l’accordo). Un tradimento dell’identità e della patria, secondo gli oppositori, per i quali ogni Macedonia può esser solo greca: Constantinos Barbarousis di Alba Dorata (ora alla macchia per un ordine di arresto) ha invitato in pieno Parlamento le forze armate a un colpo di stato contro Tsipras. Impassibili come sempre, gli euzoni cadenzavano ieri il cambio della guardia davanti a un cartello offensivo: “Skopje Monkey-donia”. Non c’erano solo estremisti di destra tatuati, ma tanti cittadini comuni, anche tanti giovani.
Il ritorno degli expat 
Con una disoccupazione giovanile doppia rispetto al poco più del 20% della media (dal 27,9% del 2013), in molti se ne sono andati. Ma appaiono segnali di un un ritorno di expat, con nuove idee specialmente nell’ambito della new economy. «Dal 2010 la crisi ha portato a un esodo verso altri Paesi europei in cerca di lavoro. Ma oggi vedo una controtendenza: la gente, soprattutto i giovani, ha la voglia e l’energia di reinventarsi senza lasciare il proprio Paese, dove la qualità della vita – specie in città più a misura d’uomo rispetto ad Atene, è ottima – afferma Sakis Lalas, fotografo e regista -. Sono nate molte start-up, c’è più attenzione e rispetto nei confronti di tutto quello che è made in Greece». La Grecia – aggiunge – potrebbe essere una di quelle mete molto amate dai new marketers, quelli che lavorano da qualsiasi angolo del mondo. «È quello che ho deciso di fare io con mia moglie, italiana: dividere la nostra vita fra Grecia, Italia e Los Angeles, gestendo la piattaforma online che qui abbiamo fondato, The Dark Candy, che mette in connessione Hollywood e l’industria della moda attraverso la figura dei costume designers».