Il Sole 24 Ore, 17 giugno 2018
Emergenze, rilanci e quei 3 miliardi per Roma «nascosti» nel Def
Potrebbe essere la prima costola di un ambizioso piano di sviluppo della città, ma Roma di quei 5 miliardi nascosti nel Def (3,2 già disponibili) non parla. Ci sono la prosecuzione della metro C (792 milioni disponibili su 1.136), la terza pista di Fiumicino (in carico ad Adr), interventi su Gra e Roma-Fiumicino (78 milioni su 170), il rilancio del nodo Fs di Tiburtina (323 milioni), i 45 chilometri di piste ciclabili del Grab (150 milioni da trovare), oltre un miliardo per materiale rotabile, upgrade tecnologico, potenziamento infrastrutturale del “ferro” romano. Diciotto voci. Ci penserà il nuovo governo giallo-verde a integrare o correggere il piano del governo Gentiloni, dare cassa, concordare progetti con il Comune per accelerare. Ma certo di un grande piano nazionale – allargato ad ambiente, industria e innovazione – ha bisogno Roma, che oggi vive un presente schiacciato sulle emergenze.
Anche nelle riprese di questi mesi le emergenze campeggiano sempre, come una camicia di forza che nessuno riesce a strappare. Neanche Virginia Raggi che il 19 giugno festeggia due anni dalla sua elezione, a due giorni dall’inizio del processo che la vede imputata per falso, mentre sulla città si abbatte la tegola delle inchieste sullo stadio della Roma. La sindaca è estranea alle inchieste e conferma la volontà di andare avanti con il progetto dell’As Roma, sempre che nessun atto amministrativo risulti viziato e la magistratura non blocchi l’iter. Il biennio si chiude in emergenza come era cominciato: i rifiuti, l’addio di otto assessori, l’Atac sull’orlo del fallimento (a giorni il Tribunale decide sul concordato preventivo bocciato una prima volta), le buche. E se nei primi mesi era legittimo rincorrere, alla lunga diventa mancanza di soluzioni e professionalità, assenza di metodo, carenze di pianificazione.
Non mancano segnali che qualcosa si muove. Ma sono slegati da un disegno organico. Il bando di gara da 188 milioni di euro in 11 lotti per portare 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti indifferenziati per due anni fuori da Roma, per esempio, è una sorta di resa: eviterà altri imprevisti, forse, ma allontana una soluzione strutturale che non arriverà neanche con i due impianti di compostaggio Ama da 35 milioni in corso di progettazione a Casal Selce e a Osteria Nuova.
LA RIPRESA DEI BANDI
Nel 2017 c’è stata ripresa dei bandi per lavori che il Cresme stima a +223%: museo nazionale della Shoah (18,8 milioni), riqualificazione del Mausoleo di Augusto (8,8 milioni), demolizione della sopraelevata (8,3 milioni) e 12 lotti per la manutenzione stradale (78 milioni), che però sono fermi per la paralisi delle commissioni di gara. Lavori solo sulla carta. E infatti Acer, l’associazione dei costruttori romani, lamenta nel 1° trimestre un -35% delle aggiudicazioni.
Segnali di scongelamento, ma non svolte. «Il momento clou di questi due anni – dice Maurizio Tarquini, direttore generale di Unindustria – quello che avrebbe potuto segnare il passaggio dall’emergenza alla sfida, dalla difesa all’attacco, resta il “no” alle Olimpiadi, il grande evento che avrebbe potuto portare risorse, un orizzonte lungo, progettualità e attenzione mondiale alla Capitale. Ma il risultato non si può ottenere rinunciando alla progettualità di medio e lungo periodo. Con il “non fare”, senza visione, si muore. Rischiamo che la “naturale” capacità attrattiva di Roma possa venire compromessa senza gli investimenti internazionali, stadio in primis. Con le Olimpiadi Raggi avrebbe dovuto dimostrare di prendere in mano la città, indirizzare le forze economiche e sociali di Roma verso gli obiettivi che lei si prefiggeva. Sfida non raccolta. E anche adesso non basta chiedere soldi al governo per rilanciare Roma. Capisco che per rivoltare Roma servirebbe una squadra di almeno 200 persone di alto livello ma servono prima di tutto progetti coerenti fra loro, idee, capacità di aggregazione, in sintesi una visione, anzi una visione condivisa».
LE ALTRE CAPITALI
Potrebbe sembrare ingeneroso il confronto con le grandi capitali europee oggi, ma Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme, è convinto che da lì bisogna ripartire. Un lavoro fatto per l’Acer mostra come le città europee si siano date piani di lungo periodo che catalizzano risorse pubbliche e private, spiegano obiettivi ambientali, produttivi, turistici, puntano ad attrarre capitali nazionali ed esteri. «Roma – dice Bellicini – non può non accettare la sfida di una competizione mondiale anche perché oggi la competizione fra Paesi è anzitutto competizione fra città, fra grandi poli aggregati di sviluppo, capaci di attrarre intelligenze, ricerca, cultura. E sviluppo significa popolazione residente, servizi adeguati. Uno dei freni più gravi allo sviluppo oggi è lo spopolamento. Le città nel mondo si distinguono fra chi cresce e chi declina».
Il London Infrastructure Plan è lo strumento di pianificazione della capitale inglese che prevede 1.679 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati fino al 2050 (13% è la quota pubblica). Al primo posto non ci sono i trasporti (593 miliardi) ma le abitazioni (696 miliardi) che sottolineano il ruolo chiave della demografia nella pianificazione urbana. Per non parlare della spesa per le scuole (87 miliardi) «finalizzata a rafforzare la leadership mondiale londinese nell’educazione dei rampolli della borghesia di tutto il mondo». La Grande Paris totalizza investimenti per 108 miliardi entro il 2030. Anche qui sono le abitazioni che guidano con 53 miliardi, ai trasporti 26 miliardi, 13 ai grandi eventi (Expo 2025 e Olimpiadi 2024), 14 ai grandi progetti (tra cui Europa City e Tours Hermitage). Pianificano tutte le grandi città europee, da Barcellona a Copenaghen, da Amburgo a Berlino: per ridurre le emissioni, migliorare la qualità della vita, spingere la mobilità sostenibile, spiegare agli investitori nazionali ed esteri su cosa puntare.
Le linee programmatiche varate nel luglio 2016 da Virginia Raggi non somigliano a questi piani e da allora non ci sono state convention per rilanciare la programmazione di Roma con il coinvolgimento degli attori dell’economia. La sindaca e l’assessore al Bilancio Lemmetti, interpellati tramite i loro staff, su questi aspetti e più in generale sulle priorità e sulle risorse per la città hanno preferito non rispondere. Indicazioni sono invece venute sul piano investimenti comunale. Quelli pianificati nel triennio 2018-2020 ammontano a 632,2 milioni a cui si aggiungono 149 milioni di opere di urbanistica a scomputo con fondi privati. La voce più pesante è quella della mobilità e dei trasporti (267 milioni), in cui i fondi per la linea C della metro fanno la parte del leone, accompagnati dagli interventi bandiera su piste ciclabili e semafori intelligenti. A seguire c’è la manutenzione urbana (205 milioni). E poi beni culturali (36 milioni), ambiente (36 milioni), 52 milioni per i municipi, 20 milioni per l’urbanistica, 4,6 milioni per l’innovazione tecnologica, 2 per lo sport. Che non siano tempi di vacche grasse lo dimostra un dato: per il 2018 la spesa in conto capitale messa in programma è di 467,5 milioni, il 15% in meno rispetto al preventivo 2017. L’amministrazione è rimasta al palo, schiacciata da un territorio grande più di sette volte Milano, una spesa corrente di 4,7 miliardi rigida per le voci personale e acquisti, e una evidente difficoltà amministrativa a programmare nuove opere.
LA RIGENERAZIONE URBANA
Neppure sulla rigenerazione urbana, a dispetto delle promesse elettorali di Raggi sulle periferie, esiste un piano che indichi le priorità su cui investire. Eppure ormai è una leva di sviluppo in tutta Europa. Siamo indietro 15 anni rispetto a città come Marsiglia dove il recupero di La Friche (complesso simile all’ex Mattatoio romano) con l’assegnazione di spazi ad artisti, laboratori, piccole imprese, è stato un volano per la città. Il ritardo è nazionale, ma la Capitale potrebbe scommetterci più delle altre città. «Sempre più spesso – dice il presidente dell’Acer, Nicolò Rebecchini – si parla di rigenerazione urbana legata a singoli progetti, ma a Roma servono programmi organici che vadano in questa direzione. Abbiamo presentato di recente due proposte accolte molto favorevolmente dall’amministrazione: la prima in zona Bastogi, periferia ovest, con la sostituzione progressiva dei fabbricati esistenti che darà vita a 650 nuovi alloggi tutti per housing sociale; la seconda a Tor Sapienza, con lavori di efficientamento e valorizzazione del patrimonio residenziale esistente. Ma sono solo due progetti, peraltro senza apporti di capitale pubblico. È fondamentale che la politica dia una visione di futuro per la città e la rigenerazione urbana rappresenti il settore sul quale incentrare le politiche di trasformazione urbana. Servono risorse che sostengano programmi e interventi puntuali, la dichiarazione di pubblica utilità per salvaguardare l’interesse pubblico rispetto a quello del singolo, incentivi e disincentivi fiscali, nuove disposizioni e la rimozione di quelle oggi di ostacolo al percorso della rigenerazione».
L’INDUSTRIA E I SERVIZI
Eppure il tessuto produttivo romano dà segni di vitalità. Tra il 2009 e il 2017 le imprese manifatturiere in provincia sono calate da 27.011 a 24.566, ma quelle manifatturiere costituite come società di capitali, le più solide, sono passate da 10.194 a 11.062. Solidità confermata dall’export. Il farmaceutico (6.300 addetti a Roma) ha più che raddoppiato le vendite all’estero, da 323 milioni del 2016 a 730 milioni del 2017. Le esportazioni hi-tech della provincia (dal farmaceutico alla chimica, dall’aerospazio all’elettronica) sono cresciute nell’ultimo anno del 13,4%, contro l’8,9% dell’export totale della Capitale.
Un altro potenziale è la ricerca: a Roma ci sono 5 grandi atenei (Sapienza, Tor Vergata, Roma tre e le private Luiss e Lumsa) e i più grandi enti di ricerca italiani, dal Cnr all’Agenzia spaziale all’Enea. E proprio quest’ultimo è capofila di un maxi progetto internazionale che partirà a novembre per la costruzione a Frascati di un mini reattore per la fusione nucleare “pulita”.
Il turismo cresce (+2,75%), con 6,7 miliardi di incassi da stranieri, ma è sempre più low cost mordi e fuggi (2 giorni in media). Speranze dal possibile rilancio del turismo congressuale, fronte sul quale il Campidoglio e la regione Lazio hanno lavorato bene con gli operatori, con l’avvio del Convention bureau. Dopo anni di attesa e una spesa di 350 milioni è finalmente operativa la Nuvola di Fuksas, mentre l’avveniristico hotel al suo fianco (la Lama) è stata acquistato (per 50 milioni) per ospitare quasi sicuramente un Hilton. «Questo polo congressuale con la Nuvola come fiore all’occhiello, insieme alla nuova Fiera a fianco di Fiumicino, può segnare un nuovo inizio», avverte il presidente di Federalberghi Giuseppe Roscioli.
A pesare sull’immagine della città ci sono però mali antichi ricordati da Renato Borghi, commissario Confcommercio di Roma: «Oltre al fisco, il più alto d’Italia per il commercio, le emergenze si chiamano decoro e abusivismo». La giunta Raggi ha avuto una partenza lenta «ma dallo scorso autunno ci sono segnali positivi: aumentati i controlli e i sequestri, bene la nomina del nuovo comandante dei vigili urbani, Antonio Di Maggio, positivi i provvedimenti sui tavoli selvaggi e la delibera anti-alcol». Ma Borghi invoca attuazione della legge su Roma Capitale per dare più poteri e risorse alla sindaca: «La città ha bisogno di programmazione e di una visione a medio lungo periodo. Capisco che i cittadini vogliono che si risolvano i problemi di oggi, ma serve anche che qualcuno ci dica quale sarà il volto della Capitale nel 2030 o nel 2050».
L’AIUTO DEL GOVERNO AMICO
E in effetti la sindaca guarda al Governo “amico” per una possibile boccata d’ossigeno. Primo obiettivo è proprio la piena attuazione delle riforme avviate dal 2010 per ottenere più poteri e potersi confrontare direttamente con lo Stato sui dossier strategici, a cominciare dai trasporti. Secondo obiettivo, i fondi. Finora l’unico documento trasmesso ai tecnici della presidenza del Consiglio nell’estate 2017 è la bozza di Patto per Roma per accedere a 250 milioni di fondi volti a finanziare investimenti per 470 milioni. Ma il sogno della giunta era e resta quello di trasformarlo in un’Agenda per Roma da 1,8 miliardi in un triennio, di cui 1,2 miliardi dallo Stato. Per trasporti e strade comunali, secondo le stime del Campidoglio, la città avrebbe bisogno di 500 milioni. Per beni culturali, parchi e ville storiche di 150 milioni. Stessa cifra per ridare fiato tanto all’edilizia popolare quanto agli impianti sportivi e ai mercati rionali. Per i rifiuti si immaginano 100 milioni almeno, così come per illuminazione pubblica e innovazione tecnologica. Cinquanta milioni per gli interventi anti-dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio. Nessuno si spinge a ipotizzare un nuovo tavolo per Roma. Ma è chiaro che con il governo Conte e Luigi Di Maio al Mise le aspettative sono alte, anche se la bufera politico-giudiziaria potrebbe ridimensionarle.
Nell’attesa, sarebbe già utile prevedere un allentamento dei vincoli di finanza pubblica per uscire dall’impasse di avere un avanzo non spendibile. Perché gli spazi di finanza di Roma Capitale sono erosi dal doppio macigno dei debiti fuori bilancio e dei mutui ereditati dal passato. Come “garanzia”, il Comune presenterebbe le azioni virtuose svolte nel biennio: i 150 milioni di pagamento di debiti fuori bilancio e i quasi 165 milioni di abbattimento del debito residuo con le banche e gli altri istituti.