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 2018  giugno 16 Sabato calendario

Marco D’Amore: “Ora a Gomorra comando io. Ma da regista”

«Lo vedete? Voi siete morto là». Marco D’Amore fa i dovuti scongiuri quando racconta sorridendo della signora che lo ha fermato a Castel Sant’Elmo per indicargli il punto esatto, sul mare, in cui Ciro veniva ucciso. «Tanti pensano che resusciterà in Gomorra 4, sono convinti che non sia morto davvero… E siccome sento in giro storie fantasiose lo dico subito: non era immortale. Ciro è definitivamente uscito di scena. Adesso faccio la regia di Gomorra». Nel cuore di Napoli, in uno di quei meravigliosi palazzi délabré diventato il quartier generale di Cattleya, che produce la serie di Sky, D’Amore, 37 anni, racconta con passione la sua nuova vita dietro la macchina da presa. Firma la regia dei dodici episodi, girati tra Napoli, Bologna e Londra (in onda nella primavera 2019) con Francesca Comencini showrunner a capo del progetto, Claudio Cupellini, e due veterani che avevano lavorato come aiuto registi, Enrico Rosati e Ciro Visco.
D’Amore da protagonista a regista: cosa la preoccupava?
«Il confronto con i professionisti della macchina da presa, so di avere carenze e lacune da colmare. Sul set mi ha sempre affascinato di più il lavoro del direttore della fotografia che il mio. Da regista, una volta che conosci le relazioni dei personaggi, puoi dare direttive così precise da colmare i tuoi limiti. Quando faccio le regie a teatro ho una totale consapevolezza. Per Gomorra prima delle riprese ho organizzato una bella festa».
In genere si fanno a fine riprese…
«Volevo creare un bel clima.
Il lavoro e la vita coincidono, sai che ci saranno difficoltà. Se riesci a instaurare un rapporto vero poi le persone verranno a dirti le cose con franchezza. E tutto si supera».
Quando ha deciso di dirigere “Gomorra”?
«In una giornata di follia sono andato a Roma a parlare con la produttrice Gina Gardini: “Voglio tornare in Gomorra 4 come regista”. Poi ho chiamato Roberto Saviano, che era entusiasta. Questa esperienza è il mio viatico, mi metto alla prova. Non è un’uscita estemporanea, sedici anni fa ho fondato una società di produzione, ho preparato un percorso».
Guida gli attori con cui prima recitava: come funziona?
«Grazie alla produzione uso un metodo teatrale. Al cinema non c’è mai tempo, non si fanno le prove. Invece in questa stanza dove stiamo parlando convoco gli attori e preparo la messinscena.
Arriviamo sul set con la quadratura, poi studiamo altre gradazioni. Lo dico: non sono un direttore, orchestro insieme a voi… Quando giro una scena mi piace interpretarla: faccio la parte delle donne, dei bambini, dei vecchi. Con allegria».
Lo vede che sente un po’ di nostalgia?
«Mi piace osservare più che stare in scena. L’interprete si preoccupa del rapporto col personaggio.
Invece a me tolgono il sonno i temi, riflessioni che sono più da autore.
Sul set di Gomorra stavo sempre vicino al regista, alla segretaria di edizione. Mi fa piacere quando mi dicono: “Sembra che hai girato venti film”. Mi è dispiaciuto quando hanno scritto: “Ciro di Marzio fa la regia”. È Marco D’Amore che fa la regia. Ed è la prima volta in Europa».
I produttori investono sul talento. Ma la popolarità di Ciro è sovrastante.
«Vivo un rapporto difficile con l’esibizione della mia persona, è come se avessi fatto un passo indietro. Non sono così capace di espormi».
Tutti gli attori sono narcisi.
«Con mio fratello siamo stati educati in un altro modo.
Mia madre non mi ha mai detto: “Sei il più bello, sei il più bravo”. Anche se è fiera».
Ma scusi, sua madre sarà la regina di Caserta…
(Ride) «Beh è la reginetta di via Acquaviva…..» .
Perché Ciro ha colpito così tanto il pubblico?
«A Ciro erano stati destinati i picchi emotivi della serie. Gli muore il padre putativo, dall’amore nasce il suo odio: per un gesto d’amore folle uccide la moglie, viene privato dell’amore più puro, la figlia. E alla fine, nella sua negatività, è un eroe.
Si sacrifica per far sopravvivere il migliore amico. La gente mi ferma: “Di’ la verità, non sei morto”, mi chiede una foto e i ragazzi della troupe si fanno i controselfie.
A Napoli un madonnaro a Via Toledo ha fatto un ritratto di Ciro di cinque metri. Quando De Gregori al concerto per Pino Daniele mi ha chiesto: “Ma torni?”, ho capito che la faccenda era seria».
Appunto. Sente la responsabilità di girare “Gomorra” senza di lui?
«È una serie gigante perché non esiste al mondo una fiction che ha avuto il coraggio di privarsi dei suoi protagonisti più importanti, scelta fatta in nome dell’onestà: raccontiamo che questa gente va a finire male. Ora ci sono Genny Savastano e Patrizia ma non mancheranno le sorprese».
Nessun rimpianto?
«Ogni tanto me lo sogno».
Cosa le ha dato il successo?
«La possibilità di chiamare un direttore e farmi ascoltare».
Dopo “Gomorra” che farà?
«A luglio seguirò Dolcissime, film di cui sono anche produttore con Indiana. L’ho scritto con Francesco Ghiaccio che curerà la regia.
È una storia tutta al femminile che racconta senza pietismi e finta allegria la vita di tre ragazzine alle prese con le proprie diversità.
Girando per le scuole con Un posto sicuro, ho capito che l’adolescenza è un mondo da scoprire».