Tuttolibri, 16 giugno 2018
Coelho, il mio ’68 da hippy in pulmino verso il Nepal
Molti scrittori si servono della prima persona singolare per raccontare storie che non li riguardano personalmente, è una scelta letteraria efficace: inventi un personaggio, gli fai dire «io» e gli regali il potente fascino della soggettività, che rende legittimo l’umano percorso di terrori ed errori, pregiudizi e rimozioni. Paulo Coelho, classe 1947, da Rio de Janeiro, autore di culto tradotto in 81 lingue per coprire il mercato dei best seller di 170 paesi, si avvale dell’artificio contrario: scrive un primo sostanzioso volume della sua autobiografia, in una inappuntabile terza persona, raffredda così i bollori giovanili, li oggettiva e, oggettivandoli, li allontana.
Ma c’è tutto lui in questo bildungsroman intitolato Hippie, c’è esoterismo e irrequietezza, cosmopolitismo e new age.
Nella prima pagina l’autore spiega: «Ho scelto di adottare la narrazione in terza persona, per consentire ai personaggi la descrizione della propria vita».
Secondo me, è uno degli splendidi effetti collaterali dell’età avanzata, questa licenza di oggettivare: quando racconti di una giovinezza lontana quasi 50 anni, anche se parli di te, stai parlando, di fatto, di qualcun altro.
La distanza dalle tribolazioni del presente ti rende personaggio, e come un personaggio fai muovere te stesso nella tranche de vie che hai deciso di riportare alla luce.
Dunque: lei si chiama Karla ed è olandese, lui si chiama Paulo ed è brasiliano,
Si incontrano ad Amsterdam, nel settembre del 1970, quando il Dam ad Amsterdam e Piccadilly Circus a Londra «si contendevano il primato di essere considerati il centro del Mondo». Lei indossa gonnone lunghe fino ai piedi e gilet ricamati di specchietti, è bella, è ostinata, è libera, ha 23 anni e vuole andare in Nepal su una scassatissima corriera chiamata, senza alcun merito, Magic Bus. Lui gira il mondo per dimenticare «le stucchevoli raccomandazioni dei genitori» insieme a migliaia di altri giovani, tutti in fuga dalle «litanie famigliari», tutti fattivamente contrari all’ipotesi di trovarsi un impiego, sposarsi e riprodursi, tutti perpetuamente in movimento, con pochi soldi, zaini leggeri e un unico libro di culto Europe on 5 dollars a day che consente di far durare i pochi soldi stanziati per il viaggio, e quindi il viaggio medesimo, il più a lungo possibile.
Tornare a casa è una resa, continuare a spostarsi è la cura giusta per rimandare il più possibile la fine della giovinezza.
Paulo si lascia tentare da Karla a lasciare l’Europa per il Nepal.
L’avventura è una variante pericolosa del viaggio ma «una parte del senso - e del piacere - dell’esistenza è rappresentata dal fatto di correre rischi».
Così i due partono e noi con loro. E’ notevole la capacità evocativa di questo scrittore snobbato da buona parte dei lettori forti e capace di conquistare alla lettura milioni di lettori deboli.
Ci trasporta, tutti, chi quel periodo l’ha vissuto come me e chi è nato troppo dopo o troppo prima, chi legge 10 romanzi al mese e chi uno ogni 10 anni, nell’impalpabile galassia Hippie, dove basta sedersi su un gradino vicino a una ragazza per incominciare a parlare. Dove ci si può unire a gente scalza vestita di arancione soltanto per il piacere di cantare e ballare Hare Krishna in mezzo alla strada. Dove la povertà è un valore perché fare soldi è l’obbiettivo sbagliato. Dove si inganna il tempo con lo spazio spostando le proprie vite nei quattro continenti senza sosta. Dove vendere il passaporto e poi fingere di averlo perso e farsi rimpatriare a spese del proprio Paese non è un crimine ma uno dei tanti trucchi di sopravvivenza che consentono ai «figli dei fiori» di lavorare alla realizzazione dell’Utopia più presuntuosa della storia: essere felici.
Perché era questa l’idea di quegli anni, che la felicità fosse possibile, praticabile, a portata di mano. Contro l’ideologia del sacrificio di sé in vista di un aleatorio premio finale, fosse il benessere capitalista o il sogno comunista, il Paradiso dei cattolici o la guerra al potere degli anarchici, tutto il mondo adulto si muoveva verso il differimento, a data indeterminata, del piacere. Del gusto di vivere.
E’ l’eterno presente di quelle antiche giovinezze che Coelho racconta con un commendevole risparmio di aggettivi qualificativi o squalificanti. Non emette giudizi, nonostante il mezzo secolo trascorso.
Lascia respirare fra le pagine quella leggerezza antagonista, quell’ansia di vivere,quel profumo d’incenso e marihuana che ha animato i vent’anni dei baby boomers.
«Cambiamo la vita prima che la vita cambi noi», era il bellissimo slogan di Re Nudo, il giornalino undergorund in cui - seppur parzialmente - mi riconoscevo a 19 anni.
Chissà se ce l’ha fatta, Paulo Coelho a rimanere libero e vagabondo, nel corso degli anni, chissà se è riuscito a perseguire il progetto di essere felice. Quello di restare povero certamente no.