Avvenire, 15 giugno 2018
Così i nazionalisti dell’India spingono a odiare i cristiani
Alla fine di maggio, il videoclip di un leader indù che calpestava l’immagine di papa Francesco presso la Cattedrale del Sacro Cuore di Delhi ’assediata’ da una piccola folla ostile, è stata forse l’iniziativa di maggiore impatto simbolico verso una Chiesa indiana da tempo sulla difensiva, sia perché tutto è potuto avvenire nell’indifferenza delle autorità, sia per le ’ragioni’ proposte. Om Swami Maharaj, noto estremista alla testa dei facinorosi, al grido di ’Pope Francis murdabad!’ (a morte papa Francesco), ha accusato il Vaticano di promuovere il terrorismo e il maoismo nel Paese e ha esortato i cristiani ad andarsene pena l’espulsione. Una manifestazione di intolleranza che sarebbe forse passata inosservata tra le tante di questi ultimi anni se non fosse stata registrata e diffusa online fino a quando il raggruppamento cristiano Rashtriya Isai Mahasangh non ha chiesto alla polizia di bloccarne la circolazione.
«Questa dimostrazione di odio verso ogni gruppo o leader religioso non dovrebbe essere permessa in una società civile», ha segnalato all’agenzia UcaNews Richard James, portavoce dell’influente organizzazione ecumenica con base a Bhopal, capitale del Madhya Pradesh, uno degli Stati dove è al potere il Bharatiya Janata Party (Bjp), espressione di maggior successo di una politica filo-induista che governa anche a livello centrale dopo la vittoria del maggio 2014 guidato da Narendra Modi. A riaccendere la rabbia dei nazionalisti indù verso la Chiesa cattolica, una lettera pastorale diffusa l’8 maggio in cui l’arcivescovo di Delhi, mons. Anil Couto, chiedeva ai cattolici di «rispettare un giorno di digiuno ogni venerdì» nei prossimi 12 mesi e di offrire «penitenza e sacrificio per il nostro rinnovamento spirituale e quello della nostra nazione», affinché nelle elezioni parlamentari del 2019 il Paese sappia affrontare «un futuro politico turbolento che minaccia la democrazia nel Paese». II 23 maggio, dopo l’episodio di Delhi, un parlamentare del Bjp, Subramanian Swami ha chiesto con un messaggio su Twitter che il premier Modi sospenda ogni rapporto con il Vaticano, sottolineando anche il ruolo «di nomina formale da parte vaticana» dell’arcivescovo di Delhi. Alzando così la tensione con il rischio che possa sfuggire di mano con gravi conseguenze.
Si potrebbe pensare che dietro un episodio riprovevole e che è stato accolto da tante critiche anche in India, ci potrebbe essere ’solo’ un’aggregazione di estremisti, magari sostenuti da qualche politico interessato a guadagnare consensi in vista di scadenze elettorali locali e nazionali. La realtà è più preoccupante perché, come ha indicato il vescovo Cajetan Francis Osta, è frutto di «espedienti politici per distrarre l’attenzione della gente da questioni spinose come inflazione e disoccupazione», ma non solo. Il Bharatiya Janata Party è un partito apertamente confessionale, che un quarto di secolo fa ha fatto di un’India per soli indù il centro della sua propaganda, coagulando attorno a sé le tante espressioni di un estremismo religioso e nazionalista che ha accolto le politiche liberiste e le aperture internazionali di Modi senza arretrare di un passo dalla volontà di imporre ai non-indù l’assimilazione oppure la loro uscita dal Paese.
Nel quadriennio finora di controllo nazionalista sul Paese, con il quasi annichilimento del Partito del Congresso che aveva dominato la politica indiana dall’indipendenza come erede dell’esperienza di Gandhi e alfiere di una società integrata, le violenze ispirate, ammesse o non sanzionate degli estremisti sono state una realtà che le minoranze non possono ignorare. «Ogni giorno i mass media riportano notizie di atrocità compiute contro le minoranze religiose, i dalit e tribali», sottolinea Jignesh Mewani, leader dalit e parlamentare nello Stato del Gujarat, roccaforte per nascita e elettorato di Narendra Modi. «Se non ci uniamo e facciamo sentire la nostra voce, non è lontano in giorno in cui i fondamentalisti entreranno nelle nostre case per stuprare le nostre madri e le nostre sorelle o per ucciderci. Siamo ormai al crollo dello Stato di diritto». Le affermazioni di Mevani sono state espresse nell’incontro di leader, attivisti, studiosi e esponenti politici di origine dalit che si sono riunti dal 25 al 27 maggio a Delhi, per ricordare il quarto anniversario dell’arrivo al potere di Modi.
Quella sede è stata per l’organizzazione India Inclusive, nata da poche settimane per «salvaguardare non solo l’eredità condivisa e la coscienza collettiva dell’India ma anche per tutelare l’idea di un’India senza discriminazioni», l’occasione per diffondere dati aggiornati sulla situazione persecutoria verso minoranze e ’esclusi’ che è andata accentuandosi negli ultimi quattro anni. Dati confermati da quelli resi proposti dal forum cristiano Persecution Relief, che nel 2017 ha registrato 600 casi di devastazione di luoghi di culto, minacce e aggressioni, boicottaggio sociale, campagne d’odio, sequestri di persona, omicidi tentati o riusciti di non-indù.
Tehmina Arora, cristiana, avvocato e attivista per i diritti umani ricorda come per la ’legge anti-conversione’ approvata in un numero crescente dei 29 Stati e dei 7 Territori in cui è diviso il Paese, individui e famiglie possono essere arrestati per conversione se tengono incontri di preghiera nelle loro abitazioni, e che, nonostante la libertà religiosa sia sancita dalla Costituzione, i cristiani sono «costretti a vivere secondo le imposizioni di forze distruttive che sembrano avere l’approvazione del governo in carica».
A confermare il ruolo della politica filo-induista in una situazione tesa in modo crescente, significativi sono i dati della rete New Delhi Television (Ndtv): Il 77 per cento dei leader che hanno pronunciato discorsi carichi d’odio registrati finora sono esponenti del Bjp. Affermazioni o provocazioni che nel contesto indiano potrebbero aprire le porte a un pogrom contro le minoranze, proprio mentre si avvicina il decennale dell’ondata persecutoria che devastò le comunità cristiane dell’Orissa nell’agosto 2008. In un Paese incerto, preoccupato per la lentezza dello sviluppo e la persistenza di ineguaglianze e discriminazioni, la pericolosa manipolazione dei mass media da parte dell’estremismo è al centro dell’impegno di Teesta Setalvad, giornalista e capofila nell’impegno per i diritti civili. La sua campagna ’Agire per salvare il Paese’ chiede agli indiani di reagire sia al qualunquismo di chi ha come slogan quello dell’indipendenza, ’Jai Hind!’ ( Viva l’India), sia di chi, come gli induisti xenofobi del Rashtriya Swayamsevak Sangh, urlano nelle piazze ’Bharat Mata Ki Jai’ ( Vittoria alla Madre India!) negando il diritto di centinaia di milioni di indiani a risiedere in pace nella propria terra.