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 2018  giugno 15 Venerdì calendario

Guadagnino parla del remake di “Suspiria”: «Il mio elogio della paura»

Elio e Oliver, i protagonisti di Chiamami col tuo nome, vivono ormai di vita propria. Luca Guadagnino che ha portato sullo schermo il romanzo di André Aciman, li segue con divertimento. «Il secondo capitolo del loro amore? Posso dire con certezza che si farà, nel libro è già scritto». L’onda lunghissima del successo da Oscar del film lo porta oggi alla XIV edizione di «Parlare di Cinema a Castiglioncello» per un incontro con Paolo Mereghetti. Anche il regista è stupito del modo in cui il pubblico ha adottato quella storia. «I suoi ammiratori sono diversi, dalle teenager alle persone della terza età, in tutto il mondo. Un fenomeno trasversale».
Lei ha cominciato come critico cinematografico, che spiegazione si è dato?
«Ha sbloccato il bisogno di comunicare. Come se, incastonato negli anni Ottanta in cui le nostre connessioni costanti digitali non esistevano, fosse un piccolo tuffo, un’esortazione involontaria a riprendere un certo modo di comunicare tra le persone, di parlarsi».
Stasera a Castiglioncello porterà due scene tagliate. Quali?
«Una in cui Elio invita Oliver a fare dei giri in paese, mettendo in atto una forma di seduzione molto sottile. E un’altra in cui sono nel giardino di notte a confessarsi il loro innamoramento e al piano di sopra con le finestre aperte i due genitori sentono i sussurri dei due giovani amanti e vengono spinti a ritrovare la passione fra di loro».
Perché le ha tagliate?
«Le scene si tolgono perché non sono venute bene. O perché il film è troppo lungo, oppure perché non servono al racconto».
Nessuna autocensura?
«Nella lista dei miei film preferiti ci sono L’impero dei sensi, Querelle de Brest e Ultimo tango a Parigi. Il cinema estremo è fondamentale per la mia formazione. Anche nel mio primo corto veniva presentato un rapporto sessuale maniera esplicita. E A bigger splash si apre con l’amoreggiare di Matthias Schoenaerts e Tilda Swinton. Ma sessualità e intimità sono molto diverse e questo è un film che racconta l’intimità. Da vecchio cinefilo so che nei film a tematica gay ci si mette la coccarda di scene forti come per dire “non abbiamo paura di nulla”, ma cosi rischiano di diventare un genere. E io odio essere incasellato».
Con «Suspiria», remake dell’horror di Dario Argento, va agli antipodi.
«È un omaggio a un grandissimo film, visto da ragazzo, che tratta qualcosa di molto soggettivo, la paura. Sono felice del risultato, è la sinfonia dello sforzo congiunto di grandi personalità. Siamo come bambini fortunati in un parco giochi, che trasformano in realtà l’immaginazione vividamente coltivata».
Dice che è il suo film più personale. Non è una contraddizione?
«Non credo che l’originalità risieda nel generare un’idea ma piuttosto nel punto di vista. Michieletto con la lirica rende uniche opere celeberrime».
A proposito di paura, cosa la spaventa?
«L’essere umano, lo dico da ottimista e aperto quale sono. In Suspiria c’è un personaggio ispirato al filologo tedesco che nel suo diario La lingua del terzo Reich registrava come le parole venissero svuotate e riempite di senso terribile. Oggi mi fanno spavento frasi come “quella nave vada dove vuole ma non in Italia” o “la pacchia è finita”».
Prossimo progetto?
«Un film da produttore, un thriller hitchcockiano Born to be murder, di Ferdinando Cito Filomarino».