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 2018  giugno 15 Venerdì calendario

Vita breve di un artista tormentato. I paesaggi di luce di Nicolas de Staël

Come dipingere il vento? Fra il luglio del 1953 e l’ottobre del ’54, il barone Nicolas de Staël (1914-1955), pittore russo naturalizzato francese, soggiorna in Provenza. Nei pressi di Avignone, prima: a Lagnes, dove rivede gli amici Fernand e Marcelle Mathieu e la loro figlia Jeanne (sposata Polge e madre di due bambini), amante del poeta René Char, Poi nel villaggio di Ménerbes, dove acquista un castello che necessita di notevoli restauri. Il suo occhio spazia sul paesaggio inondato di luce e ritmato da figure che, talvolta, si fondono con l’ambiente. Dai bagliori del Sud-Est della Francia a quelli del Sud della Sicilia: Palermo, Agrigento, Ragusa, Siracusa, Catania, Taormina, ecc. dove, nell’agosto del ’53, l’artista con la famiglia, la pittrice Ciska Grillet e la stessa Jeanne si ferma diversi giorni durante un viaggio in Italia. Sintetizza le sue impressioni su taccuini, che prenderanno corpo in grandi quadri, una volta rientrato nella regione bagnata dal Rodano. Impressioni che incidono profondamente sul suo lavoro, sia per i paesaggi minerali che per i nudi stilizzati (di Jeanne, di cui si innamora follemente). Così, incredibilmente, Nicolas chiede all’amico Char di cedergli la donna («Dónamela, l’amo troppo»). «E io l’ho donata», confesserà l’autore di Fogli di Hypnos all’amico archeologo Paul Veyne. In seguito, però, l’amicizia tra pittore e poeta si affievolisce (poteva essere altrimenti?).
In Provenza, Nicolas lavora moltissimo (solo nel ’54 dipinge 266 quadri), ma sempre in stato di grande tensione: felicità, euforia e depressione. «Sono divenuto, anima e corpo, un fantasma che dipinge templi greci e un nudo così adorabilmente ossessivo, senza modello, che si ripete e finisce con l’annebbiarsi di lacrime. Non è davvero atroce, ma spesso si raggiunge il limite – scriverà, ancora, a René Char —. Quando penso alla Sicilia, che è essa stessa un paese di veri fantasmi, dove solo i conquistatori hanno lasciato delle tracce, mi dico che sono racchiuso in un cerchio di stranezze dal quale non si esce mai».
Jeanne non vuole separarsi dal marito per vivere con lui. E il 16 marzo 1955, Nicolas de Staël – a Parigi per assistere a due concerti di Arnold Schönberg e Anton Webern —, dopo avere iniziato a dipingere una tela di oltre sei metri per tre, va sulla terrazza di casa e si getta nel vuoto. «Sono diviso tra una collera immensa e un’infinita pietà – annota Char —. Enigma del cuore umano! Là dove io avevo immaginato un “padiglione di caccia” con appuntamenti clandestini per qualche libertinaggio, lui vedeva una fortezza, e una dama installata definitivamente, la proprietà amorosa esclusiva, divorzi e nuovi matrimoni».
La produzione provenzale dà una svolta significativa al lavoro di questo artista la cui «vita di pittore è durata solo dieci anni e la sua gloria, appena tre». Si veda la rassegna di 71 dipinti e 26 disegni ad Aix-en-Provence (Centro d’arte Hôtel de Caumont, sino al 23 settembre), curata dal figlio Gustave (il quarto, nato nel 1954, a Parigi, l’anno prima del suicidio) e dalla nipote Marie du Bouchet, autrice, fra l’altro, di una monografia sul nonno.
Tra figurativo e astratto furoreggia la natura. Fiori, colline, barche vengono dilatati con colori solari, lontani dai grigi d’un tempo, nonostante una volta Nicolas avesse scritto che per un pittore «la vera sfida è saper maneggiare i grigi e i bianchi». E infatti, in varie tonalità di grigio aveva dipinto un quadro dopo avere letto Il gabbiano di Cechov. In realtà – s’era già detto – nei drammi del connazionale, Nicolas ritrova le proprie ossessioni, il senso dell’inutilità dinanzi ai grandi ideali da realizzare; i quali, come nel gabbiano ucciso, nel loro destino hanno la distruzione finale.
L’artista nasce 18 anni dopo la prima rappresentazione del dramma di Cechov a Mosca, ma l’aria respirata nella natìa San Pietroburgo è certamente la stessa di fine Ottocento, che s’insinua come una malattia e condizionerà la sua esistenza. Nicolas, infatti, ha una fanciullezza travagliata. Figlio di un nobile russo – il maggior-generale Vladimir de Staël-Holstein – e di una pianista, già a 4 anni è esule in Polonia con la famiglia; a otto resta orfano di entrambi i genitori. Adottato da un russo facoltoso, va a vivere a Bruxelles. Studi classici e Accademia di Belle Arti, viaggi, contatti con pittori e architetti, Legione straniera, difficoltà economiche, trasferimento a Parigi. Disegna, dipinge, espone. Figurativo, abbraccia l’astratto e fonde i colori. Si sposa un paio di volte, ha quattro figli. Sembra avere ingranato una vita normale, ma la tragedia è all’angolo, causa l’innamoramento per una donna che corrisponde, sì, ma non del tutto. E conclude il suo destino a soli 41 anni.