Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 15 Venerdì calendario

L’America scopre Visconti: il suo cinema ci parla ancora

La prima completa retrospettiva nuovayorkese di tutti e 19 i film, episodi compresi, del conte Luchino Visconti, da Ossessione del 1943 (quando si benedicevano le sale dopo il film del peccato…) a L’innocente del ’76, è la preziosa lacuna che possono colmare i cinefili americani per cui il nome del grandissimo regista milanese, anche di teatro e opera, è conosciuto da lontano, non frequentato. Certo nella storia dell’amarcord di Scorsese Visconti svetta, e per fortuna esiste un libro edito da Cinecittà international a cura di Caterina D’Amico, ma fra i nostri autori illustri è ancora e sempre Fellini che tiene banco, eternamente caro, al cui seguito compare naturalmente Mastroianni. Poi c’è Antonioni, di cui Cinecittà ha già organizzato una personale, noto anche per aver girato negli Stati Uniti Zabriskie Point, e infine Rossellini, maestro di neorealismo e papà di Isabella, che vive a New York e fu mrs Scorsese.
Visconti fa più fatica a far comprendere lo stile e le storie che narra: perfino Il Gattopardo, «The Leopard», che è il nostro Via col vento, pur avendo al centro un divo americano come Burt Lancaster, in America fu un mezzo disastro, presentato tagliato ed infine rieditato completo solo più tardi. Neorealista melodrammatico, complice del proletariato, cantore della borghesia, il Visconti arrabbiato del dopoguerra, quello di Rocco e i suoi fratelli, non toccò i nuovayorkesi, pur essendo l’immigrazione un tema pulsante di quella città. Se mai apprezzano Morte a Venezia che viene da un racconto di Thomas Mann e ha Dirk Bogarde come star. Senso è lontano per loro, il Risorgimento non è la guerra di Secessione, così la Volterra di Vaghe stelle dell’Orsa o il nazismo industriale della Caduta degli dei, parte della trilogia tedesca.
Idem per i due film ispirati a Dostoevskij e Camus: eppure Visconti è stato in Italia grande sponsor della cultura americana, l’unico a tentar di ridurre in scena il capolavoro di Thomas Wolfe Angelo guarda il passato (con il titolo Veglia la mia casa, angelo). Fu il primo ad allestire nel timoroso dopoguerra i testi allora scandalosi di Tennessee Williams (che collaborò ai dialoghi di Senso) come Zoo di vetro, facendo trionfare Morte di un commesso viaggiatore, Il crogiuolo, Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, pur essendo fan di Cechov, Verdi e Shakespeare.
Amante della Francia dove imparò il mestiere, frequentando Renoir e Cocteau, ed illudendo Coco Chanel, Visconti amò il cinema americano tanto che per Senso, prima di Farley Granger, aveva scelto Marlon Brando (e Ingrid Bergman al posto di Alida Valli), mentre su Lancaster fu subito irremovibile anche se i produttori lo vedevano come un attore da western. Ora merita di avere una ricompensa: il suo è un cinema che parla a voce alta anche oggi.