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 2018  giugno 15 Venerdì calendario

Btp, mutui e tassi: che cosa cambia senza Qe?

Addio a tassi negativi sui titoli pubblici1) La presenza di un compratore – la Bce —, che per anni è intervenuto sui mercati europei del reddito fisso con acquisti di 60, poi 80 e infine 30 miliardi al mese di obbligazioni, ha avuto l’effetto di comprimere i rendimenti a livelli mai visti in precedenza. In alcuni Paesi, ad esempio in Germania, i rendimenti sono scesi in territorio negativo anche per emissioni di durata superiore a 7 anni. In Italia il fenomeno dei tassi negativi ha interessato invece prevalentemente la parte delle emissioni a breve termine. Fino a un mese fa i Bot a un anno offrivano un tasso negativo dello 0,3 percento. Mentre i Btp a dieci anni al loro minimo hanno toccato una cedola di appena l’1,7.

L’altalena dello spread, verso il rialzo2) L’effetto sullo spread – il differenziale di rendimento tra Bund e Btp —, anche se indiretto, è stato forte. Il Qe aveva infatti soprattutto l’obiettivo di contrastare la deflazione, il calo generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Nel corso degli ultimi tre anni lo spread è passato dai circa 300 punti del 2015 ai 130 del marzo di quest’anno, prima delle elezioni politiche italiane. Una conseguenza in parte delle politiche di risanamento messe in atto dai governi italiani. Ma anche delle mani forti che da Francoforte hanno acquistato (dati Bankitalia a dicembre 2017) titoli italiani per un controvalore di circa 300 miliardi di euro.

L’impatto positivo sulle polizze3) Con la fine del Qe il percorso è tracciato. Nell’arco di qualche anno, forse addirittura di qualche mese, sparirà l’anomalia dei tassi di interesse negativi sulle emissioni dei titoli pubblici e l’investimento in titoli del reddito fisso tornerà ad essere remunerativo. Finiranno quindi le distorsioni che hanno attirato molte critiche sulla politica di Qe a cominciare da una inadeguata remunerazione del rischio (ad attività più rischiose deve sempre corrispondere un rendimento più elevato). Anche il risparmio di lungo periodo e previdenziale tornerà ad essere premiato. C’è da dire che in questi anni di rendimenti ai minimi anche l’inflazione è stata di pochi decimi di punto e quindi il valore reale del capitale (al netto dell’inflazione) è rimasto invariato. Nei prossimi anni torneranno quindi tassi di inflazioni vicini ma inferiori al 2% (come previsto dal mandato della Bce) e rendimenti positivi in grado di favorire l’allocazione del risparmio verso gli investimenti più remunerativi (o più sicuri), a seconda delle preferenze dei risparmiatori.

Prestiti casa, possibili ritocchi4) Il processo di aumento dei tassi di interesse sarà molto lento e graduale. Di conseguenza non ci saranno effetti immediati sulle rate dei mutui. Chi ha sottoscritto un mutuo a tasso fisso non ha nulla da temere dalla fine del Qe perché l’importo della rata e il tasso sono «inchiodati» per tutta la durata del contratto. È possibile che nei prossimi mesi le banche possano praticare uno «spread» più elevato, rispetto a quello odierno, sui tassi di riferimento di lungo termine. Quindi tassi fermi, ma «margine» delle banche più elevato, sta a significare tassi più alti per i nuovi mutui a tasso fisso. Probabilmente questo fenomeno di rincaro comincerà a manifestarsi da settembre. Per avere un parametro di riferimento: un mutuo ventennale di 100 mila euro a tasso fisso al 2% paga oggi una rata mensile di 506 euro. Se nei prossimi contratti (fra 3-6-12 mesi) il tasso fisso dovesse salire al 3%, la rata aumenterebbe di 49 euro a 555 euro. Discorso diverso per il tasso variabile, normalmente indicizzato al tasso euribor a 3 mesi. I tassi euribor attualmente sono negativi (il 3 mesi è a -0,32% ).
Fino a quando la Bce non modificherà il tesso negativo (-0,40%) praticato nei confronti delle banche che depositano i loro fondi sui conto della banca centrale non ci saranno movimenti significativi.