La Stampa, 15 giugno 2018
Chamois, il paese dei divorzi
Può bastare uno scenario da favola per assicurarsi un lieto fine? A giudicare dai numeri, proprio no. Al Nord ci si dice addio più che al Sud, a Ovest più che a Est. Così il paese dei divorzi è Chamois, Valle d’Aosta, paesino da 1815 metri e 99 abitanti ribattezzato «la perla delle Alpi». Si arriva solo a piedi oppure con la funivia. Entrare in paese con la macchina è vietato pure ai residenti: su quattro ruote stanno giusto i vigili del fuoco, nemmeno l’ambulanza. Che se c’è un problema, si fa più in fretta a scendere con la funivia: sette minuti in verticale, una quarantina se si fa il giro della valle. Non troppo comodo da raggiungere, ma il romanticismo è assicurato con la chiesetta bianca sui prati verdi con camosci, ruscelli e uccellini come unico rumore di fondo e la quinta delle punte Tersiva ed Emilius. Sarà per questo che i matrimoni tra i residenti – età media 60 anni, un tredicenne appena trasferito, tre giovani tra i venti e i trenta – sono una rarità, mentre quelli di chi si innamora del – o perché no, nel – paesino che si ripopola durante le vacanze sono la regola. Peccato che poi quasi due su dieci finiscano per dirsi addio. Fa il venti per cento, contro una media nazionale del cinque. «Quest’anno il parroco mi sta battendo. Lui ha sposato due coppie, io una sola. Ma recupererò presto, ho altri tre matrimoni in programma per l’estate» scherza Remo Ducly, sindaco dal 2006, 44 anni e sposato da 18. Il prossimo sarà lunedì, l’ultimo tra due ragazzi di Torino. Per giurarsi amore eterno, sono arrivati quassù dalla Svizzera, da Milano e Roma, moltissimi dalla Liguria. La storia più curiosa? «Lei di Napoli, in vacanza sugli sci da bambina. Promise di sposarsi a Chamois, l’ha fatto con il fidanzato romano». Che ne è stato della loro storia, non è dato sapere. Come puntualizza il parroco Don Giovanni Bianco, in paese Don Giò, «io posso solo accogliere e benedire le nozze, ma la responsabilità della preparazione sta alla parrocchia di provenienza».
Non ci sono solo i villeggianti, ma anche chi arriva in pellegrinaggio dai comuni più vicini. Nel 2016 in Valle d’Aosta ci sono stati 400 addii ogni 1000 per sempre, raddoppiati nel giro di un paio d’anni. Ma come mai? Lucrezia del Bar Funivia – il cognome non serve, che tanto è l’unica – ha appena vent’anni, un fidanzato più o meno, arriva da Rivoli è qui per lavorare e al matrimonio non ci pensa proprio, figuriamoci al divorzio. Erik del mini market invece va per i quaranta, si è lasciato da poco e prima di rispondere sospira e ci riflette su. «Lo vorrei tanto sapere anche io. Un mio amico parroco, che sta ad Aosta, mi ha detto che celebrare i matrimoni non gli piace più. Mancano sia la preparazione, che la fede». Nel paese dove divorziare è più probabile che nel resto d’Italia, vive anche il signor Attilio Ducly, classe 1933, maestro di sci in servizio, occhi azzurri e 57 anni di matrimonio. Poggia la carriola e sentenzia: «Non sappiamo più vivere in comunità. Non si insegna più il rispetto per l’altro. E così lasciare qualcuno indietro, dirgli addio, è diventato troppo semplice».