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 2018  giugno 15 Venerdì calendario

La letteratura italiana diventa «post»-surreale

Ecco un’anticipazione della nuova rivista ’O magazine, diretta da Andrea Mancia.
MANZONI, «I PROMESSI SPOSI»
Un lago, neanche fra i nostri più belli, due fidanzati presumibilmente di cielle, un personaggio equivoco che si nasconde dietro un nickname, una monaca zozza. Happy end all’italiana. Forse l’aspetto più debole del libro è la lingua. Da registrare le notevoli resistenze, nel corso degli anni, a fare entrare il romanzo nei programmi scolastici. Fra le tante citazioni passate nel linguaggio comune, la più famosa rimane quella di un pugile sconosciuto, Carnera, Primo.
COLLODI, «PINOCCHIO»
Se fosse vostro figlio, lo avreste già preso a sberloni al secondo capitolo (al terzo, va’...). Incolori i comprimari (la coppia dimenticabilissima del Gatto e la Volpe, pleonastica; Lucignolo, inadatto; Mangiafuoco, fuori parte...). Si salvano alcune metafore sessuali (la fatina milfona, davanti alla quale si allunga il naso dell’adolescente). Non si capisce il ruolo della balena (ma si sa, dopo il successo delle visioni «animali» di Paolo Sorrentino va bene tutto...). Di rara tristezza lo sceneggiato televisivo di Luigi Comencini. Da rigettare – al di là del comune padre falegname – l’interpretazione teologica di Pinocchio come alter Christus.
DE AMICIS, «CUORE»
Storia d’un anno scolastico scritta da un ragazzino delle medie, dal rendimento appena appena sufficiente (è intelligente, ma potrebbe fare di più), senza entusiasmi particolari per lo studio. Per la critica di sinistra è esemplare. Per quella di destra è buonista. Tra i personaggi più riusciti, un bullo proveniente – ça va sans dire – dal sottoproletariato: tale Franti. Sembra che ispirandosi alla sua figura Michele Serra abbia scritto una delle sue Amache più riuscite.
PIRANDELLO, «IL FU MATTIA PASCAL»
Romanzo che ha anticipato molti dei temi più delicati della postcontemporaneità: la ricerca della visibilità a tutti i costi, l’ossessione per la fama e l’esposizione mediatica, la voglia di apparire fra reality e virtualità, il voyeurismo social, l’uso dell’anonimato per vivere una vita «altra»... Ecco, forse quello che manca al romanzo è una certa capacità di introspezione...
SVEVO, «LA COSCIENZA DI ZENO»
Un’autobiografia di maniera, che rifiuta fin dalla prefazione un approccio sperimentale alla forma «romanzo» per rifugiarsi in un rassicurante racconto dalla forma tradizionale. Molto buone le descrizioni di ambiente. L’approfondimento psicologico del protagonista lascia invece alquanto a desiderare. La critica ha sempre bollato il romanzo – giustamente – come provinciale. Negli stessi anni dalla Mitteleuropa arrivavano vere rivoluzioni narrative.
TOMASI DI LAMPEDUSA, «IL GATTOPARDO»
Romanzo fra i meno ricordati e più sopravvalutati del nostro ’900, adorato – fin dal momento in cui era in bozze – da consulenti e direttori editoriali delle maggiori case editrici del Paese che fecero di tutto per accaparrarselo (l’autore del resto era molto inserito nei circuiti letterari italiani). L’ambientazione è risorgimentale, le location – molto scontate – un po’ da Sicilia Film Commission, mentre la trama segue le vicende di una famiglia aristocratica isolana tra la fine del Regno delle Due Sicilie e l’Unità d’Italia. Un romanzo – riassumendo per sommi capi – in cui accadono molte cose. Ma tutto alla fine rimane com’è. Trascurabile il mediocre adattamento cinematografico di Luchino Visconti.
GADDA, «QUER PASTICCIACCIO BRUTTO...»
Un gialletto classico, niente di più, dalla trama lineare, persino molto prevedibile che (al netto di una lingua piana e convenzionale, oggi diremmo un italiano «di base») tende a semplificare oltre ogni modo la complessità di un reale che tutti percepiamo essere ben più tortuoso e enigmatico di quanto l’autore voglia farci credere. Tra i punti deboli del romanzo, una prosa infarcita di inutili dialettismi e una tensione narrativa del racconto decisamente fragile. Fra i punti forti, una innegabile chiarezza della storia che fa sì possa essere seguita facilmente anche dal lettore più distratto. Come molte altre opere del Gadda (La cognizione del dolore, ad esempio), si legge tutto d’un fiato.
MORAVIA, «GLI INDIFFERENTI»
Frivolo racconto delle vicende della media borghesia romana dei primi del ’900.
DE ROBERTO, «I VICERÈ»
Frivolo racconto delle vicende dell’alta aristocrazia siciliana ai tempi del Risorgimento meridionale.
PASOLINI, «UNA VITA VIOLENTA»
Frivolo racconto delle vicende delle borgate romane del secondo dopoguerra.
ARBASINO, «FRATELLI D’ITALIA»
Frivolo racconto del boom economico italiano (e forse avrebbe giovato all’autore riprendere in mano il libro, anche solo per una veloce revisione).
CHIARA, «IL PIATTO PIANGE»
Frivolo racconto delle vicende della provincia italiana degli anni Cinquanta (bar di paese, corna, partite a carte, sigarette sempre accese, battute grevi, il lago...). Però, come dire?, tutte cose già lette nei romanzi di Andrea Vitali...
CALVINO, «SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE»
Storia di uno Scrittore che, nel tentativo di scrivere un romanzo (intitolato inspiegabilmente Se una notte d’inverno un viaggiatore), per ragioni sempre differenti e misteriose è costretto a interrompere la stesura del libro che sta scrivendo, iniziandone di volta in volta un altro. Innervosendo, peraltro oltre ogni modo, il Lettore. Cosa che ne fa, alla fine, un’opera inconclusa. Da cui la definizione del libro come esempio perfetto di «metaromanzo». Cioè, appunto, riuscito a metà.
ECO, «IL NOME DELLA ROSA»
Sean Connery era decisamente fuori parte.
SAVIANO, «GOMORRA»
Molto buono l’affresco di una certa Napoli camorristica: una rappresentazione visionaria e immaginifica, del tutto irrealistica, e proprio per questo molto godibile. L’autore, del tutto estraneo al contesto che racconta, ha sopperito alla mancanza di esperienza diretta con una notevole vena romanzesca. Debole, invece, la parte di denuncia sociale (c’è da dire che il titolo, un’infelice scelta redazionale, non ha certo contribuito alla fortuna dell’opera). È pura leggenda che si tramanda nei salotti culturali, invece, quella che vuole il libro completamente riscritto dall’allora editor della Mondadori, Antonio Franchini.
STARNONE, «VIA GEMITO»
Aaahhhhh Mmmmmhhhh Aaaahhhh Mmmmmmhhhh siiii daiiii continuaaaa Aaaahhhhh
MAZZANTINI, «NON TI MUOVERE»
Comunque meglio del film.
VERONESI, «CAOS CALMO»
Decisamente meglio il film.
AMMANITI, «COME DIO COMANDA»
Il film, così così...
GIORDANO, «LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI»
Ma perché mai ci hanno fatto un film?!
LAGIOIA, «LA FEROCIA»
Chissà perché non ci hanno ancora fatto un film...
VOLO, ESCO A FARE DUE PASSI
Primo di una serie di romanzi che, nell’ambiziosa riflessione affrontata sul Tempo e la Memoria, costituisce una sorta di Recherche padana ai tempi della Mtv Generation. Il Narratore che manifesta una volontà titanica e un’altissima autostima tanto da prendere la grande decisione: scriverà un grande romanzo sull’Uomo, o al massimo un film... – è un giovane dj radiofonico affetto dalla sindrome di Peter Pan e racconta scene di vita vissuta e storie d’amore di raro realismo (la cui varietà nel corso dei diversi romanzi ha peraltro fatto gridare al miracolo la critica più attenta). L’incipit dell’opera – il cui Narratore è, ricordiamo, un dj che lavora di notte – è patrimonio della letteratura mondiale: «Per molto tempo, mi sono coricato tardi la sera».