Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 15 Venerdì calendario

Storia di Borsalino, che cambiò vita con un cappello

«Una mattina mi sono svegliata col nome di Giuseppe Borsalino in testa. Mi è venuta voglia di far ricerca. Ho chiamato al telefono mio marito per chiedergli se sapeva chi ne aveva ereditato la villa: ci passavo spesso davanti. Ne parliamo stasera, mi ha risposto. Dopo un’ora mi ha richiamato: lo aveva cercato Massimo Arlotta, che ne era da poco diventato erede. Non si sentivano da dieci anni. La sera dopo ero a cena lì». E adesso c’è un libro. Uscirà il 19 giugno Giuseppe Borsalino. L’uomo che conquistò il mondo con un cappello, il romanzo edito da Sperling & Kupfer di Rossana Balduzzi Gastini che racconta la favolosa storia del fondatore del marchio. La scrittrice è di Alessandria, in Piemonte, dove ha sede l’azienda e ha già pubblicato due romanzi.
La storia di Giuseppe Borsalino, U siur Pipen come era detto dai suoi concittadini, parte nel 1834 da un paesino in provincia di Alessandria, Pecetto di Valenza, dove nacque: il ragazzo con poca voglia di studiare e niente soldi in tasca lascia casa e va in Francia, lavora e ottiene l’attestato di Maestro cappellaio a Parigi, torna e fonda un laboratorio di cappelli in via Schiavina ad Alessandria, che diventerà poi un marchio famoso nel mondo. Sinonimo del cappello di feltro indossato da star come Humphrey Bogart e gangster del calibro di Al Capone, perfetto nella confezione, durevole, che nel 2017 ha compiuto 160 anni di manifattura con un’edizione speciale, un cappello in feltro di vicuna e banda di astrakan, che nasce dal lavoro di sette settimane e 52 fasi di lavorazione. Solo 160 esemplari dal nome-omaggio Siur Pipen.
L’ECCELLENZA
«Sono stata in fabbrica – racconta l’autrice – ho visto i passaggi, di cui tanti a mano, che ancora rispettano l’obiettivo di Giuseppe di creare qualcosa di eccellente, che duri nel tempo: io sono un’appassionata di cappelli, quello in feltro lo tengo sempre nella borsa piegato e se piove lo tiro fuori ed è sempre perfetto, grazie proprio al suo design, alle proporzioni». Non è un caso se una vicenda come questa, umana e imprenditoriale, sia nata ad Alessandria. «La città incarnava l’orgoglio patriottico italiano, il cambiamento, la nascita dello sviluppo economico, della democrazia, non era soltanto una città militare (avamposto dello stato sabaudo): nel momento in cui prende vita la vicenda di Borsalino c’era un’idea di ripresa, e lui ha fatto suo questo spirito degli alessandrini, per lui la grande città, rispetto al paesino da cui veniva, era la porta verso il mondo e il cappello lo strumento per cambiare la propria vita».
Ma con la sua, è cambiata anche la vita della città, le cui giornate erano scandite dalla sirena della Borsalino. Gastini ha viaggiato col suo protagonista, nello spazio e nel tempo, facendo ricerche che le hanno svelato tanti dettagli umani e sociali, anche dell’Italia in cui ha vissuto. «Mi risultava che fosse andato in Nuova Zelanda, ma non sapevo in che anno e come. Ho iniziato a cercare. Come sarà arrivato laggiù? All’epoca viaggiava l’Indian Post, un treno che trasportava passeggeri e corrispondenza e partiva da Londra alle 15:15. Ho scoperto che fermava ad Alessandria a mezzanotte. Col treno deve aver raggiunto Brindisi e da lì si è imbarcato». L’anno l’ha scoperto su internet, su un sito che riportava gli articoli di un giornale dell’epoca, da cui è saltata fuori perfino un’intervista a Giuseppe Veglio Borsalino. «Chissà perché hanno messo prima Veglio, ho pensato, il nome della moglie. Poi ho scoperto che per espatriare all’epoca ci voleva il consenso scritto del coniuge». Un’altra Italia. 
IL FALLIMENTO
L’autrice non fa riferimento diretto allo stato dell’azienda ma in effetti la Borsalino è reduce da vicende alterne. Attualmente lo manifattura Borsalino è gestita da Haeres Equita (dell’imprenditore Philippe Camperio, che detiene il marchio) grazie a un contratto di affitto – in scadenza il 31 luglio – che ha permesso di continuare produzione e attività, nonostante la sentenza di fallimento del dicembre 2017, e in attesa dell’asta che dovrebbe decidere le sorti della società Borsalino, oggi in mano ai curatori fallimentari della procura.
A Pitti Uomo, intanto, che chiude oggi a Firenze, Borsalino ha presentato la sua nuova collezione di cappelli per la primavera 2019 che reinterpretano gli anni Ottanta nel loro gioioso edonismo. Immancabili i Panama Montecristi, intrecciati con la paglia più preziosa del mondo, e i feltri leggeri da 50 grammi.