BARDONECCHIA
Quando il furgone della polizia italiana apre il portellone, Saif scende insieme ad altri due uomini e viene accompagnato nella sala d’aspetto della stazione. Gli agenti italiani ripartono subito e lui rimane lì a guardarsi intorno, cercando di comprendere i cartelli della sala d’aspetto. Silvia Massara, responsabile del centro di accoglienza di Bardonecchia, vede la scena da lontano e si avvicina con i volontari: «La storia — dice — è sempre la stessa da almeno un mese».
Involontariamente il racconto di Saif conferma: «Sono pachistano, ho tutti i documenti in ordine. Ero sul Flixbus partito da Torino per Lione. Lì ho mia sorella. Sarei andato a trovarla per poi tornare.
Al piazzale del traforo del Frejus i gendarmi francesi ci hanno fatti scendere. Mi hanno chiesto quanti soldi avevo in tasca. Ho cinquanta euro. Mi hanno detto che non bastano, volevano sapere come vivo in Francia. Ho detto che c’è mia sorella. Non hanno voluto crederci. Volevano il biglietto del viaggio di ritorno.
Non ce l’ho. Mi hanno consegnato alla polizia italiana. Adesso sono qui. Il Flixbus è ripartito subito.
Come faccio?». Forse tra dieci anni per andare da Torino a Lione ci vorrà un’ora e mezza con l’alta velocità. Saif ci metterà almeno tre giorni se questa mattina, tornando a Torino, riuscirà a trovare un po’ di soldi e il biglietto di ritorno per riuscire a convincere i gendarmi al piazzale del Frejus.
Nel centro di accoglienza di Bardonecchia gli agenti francesi non si azzardano più a presentarsi. L’ultima volta, a marzo, hanno fatto irruzione nei locali per costringere un ragazzo maliano a un prelievo di urine. Ne è nato un caso diplomatico perché i francesi non avevano diritto di entrare in quei locali: «Non provateci più», aveva detto il sindaco, Francesco Avato. Era stato il primo braccio di ferro sui migranti tra le diplomazie di Roma e Parigi. La procura di Torino aveva aperto un’inchiesta.
«I francesi cercano tutti i pretesti per respingere al confine i migranti, anche quelli che hanno i documenti in regola», spiega Silvia. Nell’inverno era successo di peggio: «Una donna incinta era stata trascinata giù dal treno prima del confine», raccontano i volontari riferendo dei metodi dei gendarmi francesi, rudi e forse vomitevoli come direbbe oggi Macron. A schierarsi con i gendarmi d’oltralpe ci sono anche, un po’ buffamente, i sovranisti leghisti italiani. Il 29 aprile hanno lasciato un volantino anonimo di fronte al centro di accoglienza della stazione: «I locali un tempo a disposizione dei gendarmi — si leggeva — sono stati occupati da una ong che ci mangia con l’unilaterale consenso delle autorità italiane divenute responsabili di favoreggiamento dell’immigrazione illegale». La pacchia dell’ong sono un ventina di barattoli di piselli, pacchi di patatine, bottigliette d’acqua e addirittura delle scatole di tonno: «Ce le portano gli abitanti del paese — racconta Virginie, una delle volontarie — e finora siamo sempre riusciti ad andare avanti con la solidarietà della gente».
Il confine spezza la linea che divide i buoni dai cattivi, la frantuma. Qui i sovranisti italiani inneggiano alla Lega e appoggiano gli agenti di Macron mentre a Roma Salvini attacca il presidente francese e lo accusa di chiudere le frontiere. Poi ci sono quelli che il sindaco chiama “i passeur ideologici”, i ragazzi dei centri sociali torinesi che organizzano i migranti perché riescano a raggiungere la Francia.
A Torino quei centri hanno sostenuto i 5Stelle di Chiara Appendino. Ora si trovano al governo con Salvini. Una Babele.
Nella confusione della politica e delle ideologie, l’unica distinzione seria sembra essere quella tra chi aiuta i migranti e chi li caccia.
Dal 7 maggio la strada che sale da Cesana al Monginevro, la stessa da dove discese Annibale per conquistare Roma, ha un monumento in più. È la scritta a caratteri cubitali su uno dei tornanti: “La frontiera uccide, ciao Blessing”. Blessing Mathew è la ragazza nigeriana morta mentre cercava di attraversare il colle. Non è l’unica. In queste settimane il disgelo ha già restituito altri due corpi. A Briancon, prima cittadina a valle del colle il centro di assistenza ai migranti è di fronte alla stazione.
Max Duez, chirurgo in pensione, è il medico che assiste i nuovi arrivati: «In un anno sono passati di qui in 4.000, molti, in inverno, con piedi e mani congelati».
Storie drammatiche. Pablo, un ragazzino di 11 anni transitato a febbraio, ha disegnato il confine: una strada sulla montagna con quattro persone che scappano e un cartello di divieto. Alla lavagna della cucina sono appesi i turni e il numero dei pasti. Negli ultimi giorni le cene servite sono salite da 40 a 60. Effetto della tensione tra Italia e Francia? Max sorride: «Effetto dello sciopero dei treni francesi che ha bloccato qui un sacco di persone. E poi in questi giorni si spostano in pochi perché c’è il ramadan». Altro ché guerra diplomatica. La verità è amara per i politici: alla frontiera con la Francia i flussi li governa il ramadan. Il ritorno dalla Francia in Italia si può fare attraverso il colle della Scala, scosceso e pericoloso sul versante italiano fino a Bardonecchia. Si torna alla stazione. Di fronte al centro di accoglienza dei migranti c’è il bar Obelix, pieno di ragazzi. Omar ha 11 anni, viene da Dubai. Sceglie di mangiare una pizza margherita.
Questa notte non dovrà tentare la traversata della frontiera. Ma è teso anche lui: «Domani devo giocare la partita degli ottavi di finale della sua scuola calcio».
Auguri Omar. Un giorno magari farai gol alla squadra del ministro dell’interno. Come Jesse Owens.