Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2018
Il problema dell’influencer
La richiesta da parte dei clienti è salita in maniera vertiginosa. «Ma bisogna fare attenzione. Perché se gli influencer non sono utilizzati bene, c’è veramente il rischio di buttare via i soldi». Ludovica Federighi, alla guida di Fuse – la parte di Omnicom Media Group che si occupa di branded content marketing, branded entertainment e influencer marketing – sintetizza così un messaggio sul quale le società del mondo della comunicazione stanno insistendo sempre di più nel loro rapporto con una clientela che vede (e giustamente) una enorme opportunità nell’utilizzo di personaggi per favorire il successo di marche e brand.
Ma il materiale è da maneggiare con cura per non scottarsi. Basti pensare che, come segnalato da Wavemaker (GroupM) nel corso di un recente incontro, uno studio di Gartner che ha coinvolto diversi esperti di marketing ha messo in evidenza che il 60-70% delle aziende sta utilizzando gli influencer per il marketing e la promozione dei brand soprattutto in modo “tattico”, mentre solo il 5% li sta utilizzando come parte di un programma strategico «a supporto dei ruoli della comunicazione intorno al purchase journey del consumatore».
Utilizzo tattico o strategico. Volendo stringere al massimo, la chiave del ragionamento sta in questa dicotomia. Non a caso le società di comunicazione stanno specializzandosi sul tema, con divisioni dedicate. Del resto, parlare di moda del momento è evidentemente riduttivo. «Gli influencer – spiega ancora Ludovica Federighi – puoi utilizzarli come puro media, facendo placement e contando sulla forza dei numeri della loro community. Ma in questo modo si va a utilizzarli al 10% delle loro potenzialità».
Lavorare sui contenuti insieme con l’influencer è e rappresenterà sempre di più la linea di demarcazione fra new o old influencer in una mutazione genetica in cui un ruolo ovviamente crescente lo stanno avendo le agenzie specializzate di talent. Il lavoro a monte diventa in questo quadro fondamentale. Daniela Canegallo, ceo di Msl Group Italia oltre che country leader di Publicis Communications che raccoglie tutte le agenzie di comunicazione del gruppo francese, sulla questione va dritta al punto: «I dati bene o male le grande realtà ce li hanno tutti. La capacità di distinguersi è legata all’avere il contenuto giusto». Per questo Msl ha innanzitutto messo a punto un tool che partendo dall’analisi qualitativa della fan base punta ad arrivare all’individuazione del giusto tipo di personaggi e contenuti. Gli influencer al momento gestiti da Msl per i clienti sono circa 300. Solo per fare un esempio, tra i clienti c’è Nespresso che lavora con diversi personaggi in ambito principalmente food e lifestyle tra cui Sonia Peronaci o Lidia Forlivesi (Nonsolofood). A questo punto, però, per il futuro Daniela Canegallo non vede alternative a «una selezione ma anche una trasformazione. Magari gente non con numeri da fenomeno, ma con una fan base molto definite, in modo da mirare al meglio messaggi e campagne».
Per ora, spiega la numero uno di Fuse Ludovica Federighi, «nell’ultimo anno in particolare è cresciuta tantissimo la richiesta di influencer». Questione anche di costi? Magari il paragone con la tv non regge, ma su altri mezzi le campagne digital basate sui post periodici degli influencer possono avere risultati migliori anche risparmiando? Del resto, per esempio, gli influencer più strutturati si occupano loro stessi della realizzazione, della produzione e questo può rappresentare un risparmio per chi deve pianificare una campagna. Che se si vuole fare “digital” con gli influencer occorre mettere in conto dai 20mila ai 150-200mila euro. Se poi accanto ai post (da 3-4mila euro per singolo post di influencer con base medio piccola ai 30-40mila dei personaggi più strutturati) si aggiungono eventi o presenza in store si può arrivare anche a 500mila euro e oltre. Alla base della buona riuscita dell’operazione sta però «una conditio sine qua non: il prodotto deve essere integrato con il contesto dell’influencer. Per questo è importante il lavoro a monte sui contenuti, il lavoro con i personaggi alla creazione di concept creativi. Penso ad esempio alla creazione di situazioni dove succede qualcosa di importante cui si aggiungono una serie di contenuti sui social». Proprio Fuse – che anche utilizza un tool di scouting messo a punto con Annalect, la divisione di Omnicom che si occupa di ricerche – ha curato la campagna di comunicazione dedicata a Google Assistant con cui Fedez e J-Ax hanno aperto il loro concerto di San Siro dello scorso 1 giugno, chiedendo all’assistente di Google di “illuminare lo stadio”. Operazione riuscita e grande successo. Ma che, paradossalmente, potrebbe essere l’ultimo del duo per la fine del sodalizio artistico. Motivo? La scelta di j-ax di fare da testimonial a una campagna sulla cannabis legale.