Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2018
Birre analcoliche
Se è vero che, per le imprese, diversificare la produzione e l’offerta è strategico per crescere e ridurre i rischi, tanto più questo approccio sembra valido per l’industria della birra, che in Italia ha trovato, da otto anni a questa parte, un vero Eldorado. Proprio negli anni della crisi (2010-2017), durante i quali i consumi di beni alimentari nella grande distribuzione nel nostro Paese sono rimasti sostanzialmente piatti, le vendite di birra sono invece aumentate del 32%, secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Birra di Fondazione Birra Moretti, raggiungendo l’anno scorso i 9,2 milioni di ettolitri e un valore di 1,6 miliardi di euro.
Alla base di questo incremento c’è una diversificazione dell’offerta che, in questi stessi anni, ha portato sugli scaffali dei supermercati una grande varietà di birre, capaci di intercettare gusti ed esigenze diverse: le birre cosiddette “speciali” che, sempre secondo l’Osservatorio, sono cresciute in valore del 69,7% tra il 2010 e il 2017.
Proprio su questo filone sta investendo anche Heineken Italia, primo produttore di birra nel nostro Paese (con una quota di mercato del 28%) in cui è presente da oltre 40 anni con quattro birrifici e con i marchi Heineken, Birra Moretti, Ichnusa e Dreher. Dopo i recenti lanci delle Regionali Birra Moretti, di Birra Moretti Ipa e dell’Ichnusa non filtrata, quest’anno è arrivata sul mercato italiano l’analcolica Heineken 00, al 100% realizzata con ingredienti naturali. Prodotta in Olanda e già presente in 20 paesi da circa due anni, punta a intercettare le tendenze salutistiche sempre più diffuse tra gli italiani.
«L’Italia è un mercato molto ricettivo alle novità – spiega l’amministratore delegato di Heineken Italia, Søren Hagh –. Ogni anno investiamo molto in nuove categorie di prodotto, perché si tratta di un mercato molto importante per noi». La somma dei fatturati delle aziende che compongono il gruppo Heineken in Italia ha superato il miliardo e 100 milioni di euro nel 2017 (+8,5% rispetto al 2016). Si tratta del quarto mercato in Europa per la multinazionale che, a livello globale, conta 170 stabilimenti, 80mila dipendenti e un fatturato consolidato di 21,9 miliardi di euro nel 2017.
«L’Italia è il Paese europeo con il più basso consumo pro capite di birra – precisa Hagh – ma è anche quello più dinamico e con maggiori potenzialità di sviluppo». Naturalità, benessere e legame con il territorio sono gli elementi che funzionano nel nostro Paese, che si distingue in Europa per la complessità e frammentarietà del mercato: «In tutti i 170 Paesi in cui è presente, Heineken adotta strategie nazionali – spiega Hagh –. Ma in Italia la strategia è addirittura locale, perché il mercato è diverso da regione a regione e da provincia a provincia». Da qui la scelta di investire «sui marchi che hanno fatto la storia della birra in Italia». Il legame con il territorio è anche nei numeri: nei quattro birrifici nazionali (Comun Nuovo a Bergamo, Assemini a Cagliari, Massafra a Taranto e Pollein ad Aosta) lavorano circa 600 dipendenti, ma considerando tutte le attività del gruppo, Heineken impiega 3mila persone, di cui 2mila direttamente. La filiera coinvolge 2mila imprese fornitrici, per il 95% italiane. Nel 2017 Heineken ha investito in Italia complessivamente oltre 20 milioni, un ordine di grandezza che dovrebbe essere confermato anche per quest’anno.
Ma innovare significa anche formazione e cultura della birra: a questi obiettivi risponde la scelta di avviare, in collaborazione con la Liuc Business School, una Università della birra, rivolta a professionisti che, inaugurata lo scorso marzo, ha già formato 500 persone, che dovrebbero salire a mille entro fine anno.