la Repubblica, 15 giugno 2018
Wimbledon elimina le cannucce di plastica
LONDRA Il torneo di tennis più famoso del mondo, un classico dell’estate inglese, non sarebbe lo stesso senza un sorso di Pimm’s, il cocktail più “British” che esista, da servire in un bicchierone di gin, liquore, menta, frutta e ghiaccio. Ma a Wimbledon, quest’anno dal 2 al 15 luglio, la bevanda alcolica dell’upper class farà a meno della cannuccia di plastica. Nella scorsa edizione ne sono state usate 400 mila e nel 2018 gli organizzatori hanno deciso di dire basta, scegliendo le cannucce di carta riciclabile. In questo paese, naturalmente, non c’è solo Wimbledon a consumare cannucce di plastica. Secondo la Marine Conservation Society, la Gran Bretagna ne utilizza 8 miliardi e mezzo l’anno; ed è uno dei dieci rifiuti trovati con più frequenza lungo le coste nazionali. E, aggiunge la società, “una cannuccia impiega 500 anni a decomporsi e le conseguenze possono essere disastrose”. Nella campagna per ridurre le scorie di plastica “usa e getta”, numerose catene di pub e ristorazione hanno a loro volta cominciato a rimpiazzare le cannucce di plastica con sostituti di carta. La Costa Coffee, maggiore catena di caffetterie britanniche, intende riciclare 500 milioni di tazze di plastica entro il 2020. Il mese scorso anche 60 festival musicali di tutta l’Inghilterra si sono impegnati a mettere al bando cannucce, bottiglie, bicchieri e piatti di plastica entro il 2021, nel programma “Drastic on Plastic”. L’iniziativa più drastica potrebbe prenderla il governo di Theresa May, il cui ministro dell’Ambiente Michael Gove ha proposto un completo divieto a partire dal 2019 della vendita di cannucce o bastoncini di plastica per drinks, oltre che altri prodotti di plastica monouso. L’annuncio che il parlamento dibatterà nei prossimi mesi una legge in proposito è stato dato in occasione del summit annuale del Commonwealth a metà aprile a Londra, per spingere a iniziative simili gli altri 52 stati membri dell’associazione delle ex-colonie britanniche: 2 miliardi di persone, quasi un terzo dell’umanità. Proprio un’ex-colonia di Londra, il Kenya, ha voluto sottolineare che nessuno ha una legge radicale come la sua: 4 anni di prigione o 40 mila dollari di multa per chiunque produca, venda o usi sacchetti di plastica. Ma anche con un’azione meno aggressiva, introducendo l’anno scorso una tassa di 5 pence sui sacchetti di plastica dei supermercati (potrà presto essere ampliata ai negozi), il governo britannico è riuscito a ridurne l’utilizzo dell’85 per cento. C’è un motivo bi-partisan nella svolta che vede la Gran Bretagna all’avanguardia in questo campo: un tempo l’impegno contro l’inquinamento era una battaglia della sinistra, ovvero dei laburisti, ma David Cameron prima e ora Theresa May l’hanno rivendicata anche per i conservatori, certo con l’obiettivo di raccogliere voti tra gli ambientalisti, non un loro tradizionale bacino di consensi. E poi c’è una ragione squisitamente economica: il bando alle importazioni di rifiuti di plastica varato dalla Cina a partire dal primo gennaio scorso. Il Regno Unito era uno dei maggiori esportatori occidentali verso Pechino, a cui vendeva due terzi dei suoi scarti di plastica: 2 milioni e 700 mila tonnellate dal 2012 a oggi, secondo Greenpeace. «Se i comuni non hanno più incentivi a raccogliere i rifiuti di plastica perché non sanno a chi venderli, potrebbero smettere la raccolta e sarebbe il caos», osserva Simon Ellin, presidente della Uk Recycling Association. «Per 20 anni abbiamo contato sulla Cina e adesso non sappiamo più come fare». Ma Ellin crede che il bando cinese potrebbe diventare anche un’opportunità «per sviluppare infrastrutture di riciclaggio britanniche», diventando uno stimolo a «riciclare meglio e produrre meno plastica». Come si accorgeranno questa estate i fans di Federer e Nadal, al momento di ordinare un Pimm’s nel tempio del tennis.