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 2018  giugno 09 Sabato calendario

Andrea Vitali: «Amo il pavimento che scricchiola: è molto letterario»

Bellano (sponda orientale del lago di Como) sta ad Andrea Vitali come Itaca sta a Ulisse.
Il destino di ogni viaggio. Il luogo fisico e mentale del ritorno. La casa. «Viaggiare significa per me solo voglia di rientrare», dice.
Non ama muoversi Vitali, né essere ospite, tantomeno la vita d’albergo. «Sono uno scrittore domestico», confida il romanziere best seller, caso letterario degli ultimi anni. Che imbastisce le sue storie di piccola umanità di provincia in uno studio con finestra vista lago, come il titolo dell’opera d’esordio (2003): 43 edizioni e 130 mila copie vendute. Una stanza semplice al secondo piano di una villetta tutta gialla, pareti di libri e pavimento in parquet: «Mi piace la poesia dell’impiantito scricchiolante, dà un tocco anglosassone, e letterario». 
Ad affollare gli scaffali in legno chiaro migliaia di volumi, «sistemati secondo il colore delle coste: bianchi gli Struzzi Einaudi, blu i Sellerio, gialli gli Einaudi Stile libero». 
La scrivania è invece zeppa di matite, perché è con il lapis la prima stesura di ogni romanzo; «amo la pressione della grafite sulla carta e il profumo del legno quando le tempero». 
Un nostalgico della scrittura artigianale Andrea Vitali, che rifiuta il termine creare («un verbo alto, non lo uso mai; mi limito a immaginare il verosimile») e considera lo studio «una stanza dei giochi, dove i miei personaggi li faccio divertire con me». 
D’inverno scende al pianterreno per accoccolarsi come un gatto nel tepore del salotto. E lavorare nell’angolo del cuore. 
Un vecchio divano nero ormai sfondato, accanto alla finestra che inquadra il grande ligustro del giardino. 
Un ambiente raccolto, affastellato – come le pareti della scala – di dipinti e disegni di amici artisti: Bruno Ritter, «pittore svizzero tedesco con studio a Chiavenna», Velasco, Giancarlo Vitali («nessuna parentela, a Bellano ci chiamiamo tutti così»). 
Ed è di Vitali, amatissimo da Giovanni Testori, il pezzo forse più caro, «un ritratto a carboncino realizzato a mia insaputa, regalo per un Natale di qualche anno fa; Giancarlo sa che non amo le fotografie». 
E anche qui, ovunque, libri, impilati sulla credenza, sul tavolo da pranzo, sulle sedie; per sedersi bisogna spostarli. «I libri sono le sole cose alle quali mi sento legato; ne ho dappertutto, arrivano in dono e li compero a quintali, è la mia maggiore voce di spesa. 
E una volta letti non riesco a darli via, neppure quelli che non mi interessano affatto». In casa hanno, però, un loro ordine gerarchico: «Nello studio i favoriti: Dürrenmatt, Sciascia, Murakami, Mutis, McCarthy; in sala quelli in via di smistamento, in taverna, sorta di refugium peccatorum, tutti gli altri».
Ama la carta e non gli oggetti Andrea Vitali tranne, «passione inconfessabile», quelle palle di vetro con neve e paesaggi miniaturizzati allineati su un ripiano in cucina. 
Una collezione («l’unica») di tutto rispetto, «cominciata con la Porta di Brandeburgo a Berlino». 
Una raccolta un po’ vintage, che non stonerebbe negli alloggi «in bianco e nero» dei suoi personaggi dai nomi pittoreschi («ne aumentano la carica grottesca»), per i quali non ha mai immaginato dimore esistenti nella realtà. Unica eccezione, la casa di Iole in Un amore di zitella, «ricalcata su quella di mia nonna, tutta profumo di caffè e luci soffuse d’abat-jour», dice.
«Una casa piena di buone intenzioni, come forse non esistono più».