Corriere della Sera, 9 giugno 2018
«A 90 sogno di riunire gli italici sparsi nel mondo». Parla Piero Bassetti
Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia nel lontano 1970, è uscito dai confini bagnati dal Mincio e dal Ticino e, sulla soglia dei 90 anni, s’è messo in testa di radunare i 250 milioni di italici sparsi sulla faccia del pianeta. «Sono come le doghe di una stessa botte», esemplifica. «Prima di crepare vorrei vederli riuniti in un Commonwealth che comprenda i cittadini di questo Paese, i ticinesi, i dalmati, i sammarinesi, gli italiani delle due Americhe e dell’Australia, i loro discendenti, gli italofoni nonché tutti coloro che, senza avere alcuna parentela, hanno abbracciato i nostri valori e stili di vita».
Non gli è bastato scriverci un saggio dal titolo che suona come un appello, Svegliamoci italici! (Marsilio). Ha anche suscitato l’interesse del capo dello Stato, Sergio Mattarella, sulla bontà del progetto. Ed è andato a presentarlo all’Onu. Ci si dedica dal 1983, da quando si dimise dalla Camera dicendo alla presidente Nilde Iotti: «Guarda che, secondo me, di qui passerà sempre meno».
Resta della stessa idea?
«Oggi più di 35 anni fa. Il Parlamento è stato ribaltato da luogo dove si mandavano i rappresentanti di governo in platea dove si esercitano gli amplificatori dei rutti che provengono dall’informazione digitale. Il potere non è più nella Gazzetta ufficiale».
Perché?
«Perché per fare una legge servono otto anni. Nel frattempo l’auto robot si guida da sola. E se lei ha il cancro ed è ricco, può comprarsi un anno di vita, ma se è povero s’attacca. Tutto avviene al di fuori della politica. Quando la Bassetti, l’industria tessile della mia famiglia, decise di produrre il lenzuolo con gli angoli, cambiò il modo di dormire e di rifare il letto senza chiedere il permesso a nessuno. Tecnologia e innovazione rendono superata l’idea stessa di norma. Ha fatto più piani regolatori il Frecciarossa che non tutti i sindaci d’Italia messi insieme».
Rimpiange la Democrazia cristiana?
«Rimpiango che il mondo sia andato in una direzione dove non c’è più spazio per una forza che contemperava le problematiche del potere con quelle dei valori. Mi convinco sempre di più che la Dc e anche il Pci erano partiti così».
Se le do del moralizzatore si offende?
«Sì, perché per fare i moralizzatori bisogna essere sicuri di che cosa sia la moralità e in questa svolta d’epoca nessuno lo sa. I mutamenti di fondo investono il concetto di trascendenza. Se papa Francesco s’interroga sulla comunione ai divorziati – sì, no, dipende – significa che siamo al tramonto della norma. Non si può normare alla velocità con cui avviene il cambiamento».
Forse non si può normare una società che ha rimosso Dio dal suo orizzonte.
«Sono d’accordo. Tutto era basato sul concetto di Dio. La tecnologia ci ha portato a una svolta simile a quella da cui originò il cristianesimo».
Come si moralizza la politica?
«Dicendo la verità agli elettori. Se invece li sottoponiamo a un rincretinimento potentissimo, la democrazia va in malora».
Che dice del governo M5S-Lega?
«Staremo a vedere. Certo l’incompetenza non è la dote migliore per fare il cambiamento. Che pure è necessario».
Lei vota per il Partito democratico?
«Sì. E la prossima volta mi auguro di votare per qualcosa che mi persuada di più. Non è pensabile di riproporre il Pd come alternativa a questo scompiglio. Ascolto i discorsi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini e capisco che la loro demagogia è suscettibile di riscuotere molto successo, perché portatrice di qualche verità. Il mondo ha bisogno di modificare l’assetto di potere. L’establishment s’illude se crede di tirare avanti così. Questa è la crisi dello Stato nazione nato dalla pace di Westfalia».
La sua ricetta per salvare il Pd?
«Reinventarsi. Il Pd attuale non ha né orecchie né bocca. Non sa ascoltare il Paese e non spiega i suoi propositi».
Matteo Renzi deve restare in campo?
«No, deve farsi da parte».
Chi vedrebbe bene come segretario?
«Purtroppo nessuno, per ora».
Ma il nuovo governo durerà?
«Previsione davvero difficile».
E se dovesse cadere che accadrebbe?
«Ne vedremmo delle brutte. Le prossime elezioni segneranno una svolta storica, come quelle del 18 aprile 1948. Spero che agli italiani entri in testa una cosa: la loro posizione sulla Ue non è sbagliata, bensì impossibile. È vero, l’Europa è superata, e infatti con la Brexit gli inglesi hanno compiuto una scelta lungimirante. Però nei rapporti di forza del mondo va tenuto presente il principio di realtà. Non è che votando ci mettiamo la Germania nel taschino. Se non riusciamo a sceverare le reazioni emotive da quelle razionali, l’orizzonte che ci attende è la Grecia. A Salvini, che punta al plebiscito, vorrei ricordare che spesso gli errori politici dell’Italia si vedono sulla distanza».
Che intende dire?
«Penso al Risorgimento, che anticipò il fascismo. La Rivoluzione francese era nella linea del tempo. Ma quella italiana contro l’Unione europea è una rivolta di Spartaco, senza prospettive».
Il Sole delle Alpi leghista ricorda il logo della Regione Lombardia ispirato alla rosa camuna, che lei fece disegnare a Bob Noorda. Le dispiace?
«Coinvolsi anche Bruno Munari, Roberto Sambonet e Pino Tovaglia nello studio del simbolo. No, non mi dispiace. Ero molto amico del professor Gianfranco Miglio. Il mio regionalismo aveva ascendenze simili a quello del primo Carroccio. Non a caso mi definirono protoleghista».
Si narra che sua moglie Carla, figlia della «signora della finanza» Anna Bonomi Bolchini, le rimproveri di non essere riuscito a diventare almeno ministro.
«Guardi, se c’è una donna che non ha simili malinconie, quella è Carla».
Giancarlo Galli, il giornalista morto di recente che fu suo stretto collaboratore, di lei disse: «Bassetti è un fanatico della programmazione, per Milano fece molto, ma quando tentò di sbarcare a Roma fallì». Un giudizio impietoso.
«Perché impietoso? Io parlerei di insuccesso. Roma è una palude. A me la Capitale piace moltissimo, ma l’unica cosa buona che ci trovo è il Papa. Se lei analizza il voto del 4 marzo, vede a occhio nudo che lo Stato non è riuscito a unificare il Paese. Il povero Mattarella sta pagando il prezzo del comportarsi rettamente in una struttura che scricchiola. Milano deve stare attenta a non diventare un surrogato di Roma, altrimenti finirà male».
La considerano il nume tutelare dei sindaci Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala. Soddisfatto di entrambi?
«Di Pisapia senz’altro, perché la sua rottura ha dato frutto. Di Sala dovremo vedere se la sua ricostruzione funzionerà».
Si vocifera che quando lei s’insediò in Regione il discorso glielo scrisse in parte Giampaolo Pansa.
«Confermo. Era il Pansa del 1970, però».
Grazie alla Trilateral, ha conosciuto molti grandi della terra. Con chi ha mantenuto i rapporti migliori?
«Con Alessandro Profumo e Mario Monti, che frequentavo già in Bocconi».
La Trilateral è come la descrivevano le Brigate rosse, un clan di cooptati?
«No, nel modo più assoluto. Si veniva cooptati, è vero, ma il suo unico scopo era aggregare una classe dirigente per avvicinare il Giappone al mondo atlantico. Un’intuizione di David Rockefeller subito sposata da Gianni Agnelli».
In «Svegliamoci italici!» lei sostiene come la «non accettazione di quella parte di migranti che chiede di stare con noi sia da respingere». Gli italici non so, ma parecchi italiani sono contrari.
«Non me ne frega niente. Ho scritto quello che penso. Balotelli è un italico. Di bresciani neri ne vedremo ancora tanti».
Ma un limite all’ondata migratoria va posto sì o no?
«Sì. Una regolazione. Il ministro Marco Minniti è l’unico a esserci andato vicino. L’Europa non l’ha capito. Se la Ue non si corregge, la malattia italiana si diffonderà».
Ceduta l’azienda tessile, di che campa?
«Faccio il rentier. Quindi vivo della pensione, dei risparmi e di sopravvenienze legate ad alcune multinazionali».
Sono più ricchi i Bassetti o i Bonomi?
«I Bonomi. “Erano”, eh, non “sono”».
È vero che suo zio le dava la mancia, estraendo una banconota dall’imbottitura della poltrona su cui stava seduto?
«Questa dove l’ha letta? Su Topolino? No, lo zio Giannino era senza figli e tollerava che noi nipoti gli rompessimo qualche locomotiva giocando con il suo trenino».
Fino al 2016 lei s’arrampicava sugli alberi per potarli da solo, mi risulta.
«Continuo a farlo nella mia casa di Alz, sopra Bellagio. Ma con più prudenza».
M5S e Lega le vogliono togliere il vitalizio. È contento?
«Ovviamente no. È il segno di un Paese dove le regole non valgono più. L’idea di non compensare la scelta di dedicarsi alla cosa pubblica significa allevare una classe politica capace solo di fare gargarismi».
Lo sapranno che lei non ha mai voluto la scorta?
«Non credo. Fidavo nel mio scatto da ex centometrista. E sulla Beretta 7,65 o sulla Smith & Wesson 38 che portavo con me».
Ma se le Br le avessero sparato alle gambe, come fecero con Indro Montanelli, avrebbe risposto al fuoco?
«Può giurarci. Senza alcuna esitazione. Sono un ufficiale di artiglieria».