Corriere della Sera, 9 giugno 2018
Indagini sulla morte di Astori
Un cuore che prende a battere in modo improvviso, furioso e, nel caso di Davide Astori, letale. La chiamano tachiaritmia ventricolare ed è considerata «espressione di una malattia». Gli interrogativi sono naturalmente quelli: poteva essere individuata? C’erano stati dei segnali premonitori tali da renderla diagnosticabile, nonostante fosse la prima volta che si manifestava?
La perizia sulla morte del trentunenne capitano della Fiorentina, trovato esanime la mattina del 4 marzo scorso nella stanza di un hotel di Udine, una trentina di pagine consegnate dai professori Carlo Moreschi e Gaetano Thiene alla procura di Udine, lascia aperte queste ipotesi. Ragione per cui il procuratore friulano, Antonio De Nicolo, ha deciso di non procedere all’archiviazione del fascicolo e di trasferirlo al suo collega di Firenze, città dove Astori giocava, viveva e seguiva naturalmente i controlli sanitari previsti dai protocolli sportivi. La palla passa dunque agli inquirenti fiorentini, che dovranno ora sviluppare l’indagine. La prima fase si concentrerà sugli accertamenti clinici e strumentali effettuati da Astori negli ultimi anni. In particolare saranno esaminati elettrocardiogrammi, ecografie al cuore e altri eventuali test eseguiti durante il periodo «viola». Una domanda su tutte: poteva essere salvato Davide Astori? Talvolta neppure gli esami più sofisticati riescono infatti a evidenziare certe anomalie. Come nel caso di Piermario Morosini, il centrocampista del Livorno morto a 26 anni durante una partita a Pescara il 14 aprile del 2012, colpito da cardiomiopatia aritmogena, una rara patologia che gli esami clinici non avevano evidenziato. Per la sua morte sono stati condannati tre medici sportivi che non usarono il defibrillatore che avrebbe potuto salvargli la vita. Nel caso di Astori, la perizia conclude invece che è stato sottovalutato un problema di salute che poteva essere visibile. Da parte sua, la Fiorentina aveva fin da subito ricordato che nulla era mai emerso, neppure dal controllo fatto qualche giorno prima.
La causa di morte non è comunque la bradiaritmia, sindrome che rallenta il battito cardiaco fino, talvolta, a fermarlo. Ipotesi che era stata avanzata subito dopo l’autopsia, suscitando la perplessità del mondo scientifico: difficile che succeda a un atleta. Thiene e Moreschi hanno consegnato naturalmente anche i risultati degli esami tossicologici, che escludono la presenza di sostanze dopanti, e quelli istologici sul cuore.