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 2018  giugno 09 Sabato calendario

«Io, poetessa del rock che ascolta Puccini». Intervista a Patti Smith

Patti Smith, maschia eroina del rock in realtà è una donna raccolta e timida. Una smentita plateale alla fama di poetessa rabbiosa, dai modi spicci e dalla scorza dura. Nella vita Patti, a cominciare dal suo modo di parlare, è il contrario di una rockstar. Un’intellettuale che ama leggere, scrivere (quando è a New York, fa colazione tutte le mattine al Cafè Ino al Village e riempie il suo taccuino di appunti), dipingere, fotografare, immaginare un mondo migliore, tenere a bada i dolori di una vita circondata dai lutti: il marito, il fratello, l’amico fotografo Robert Mapplethorpe, il padre, da ultimo Sam Shepard con cui ebbe una storia d’amore negli anni 70 («sapevo di poter contare sempre su di lui. È dura sapere che non c’è più», la sua confessione). Fa una vita ritirata, ma la musica poi la riporta sulle barricate con il suo rock che non c’è più, come farà nel suo prossimo concerto, domani all’Auditorium. 
Patti, lei che ha vissuto tempi tumultuosi e romantici che idea ha della musica di oggi? 
«Amo sentire quello che mi piace come Jimi Hendrix, Wagner o Verdi. Spesso ascolto un disco della Callas con le arie di Puccini. Potrebbero essere tutte hit. Le sue melodie hanno influenzato profondamente la musica americana».
Quello che si fa oggi non la interessa?
«Non so neppure cosa ascoltano i giovani. Ogni generazione ha la sua musica. Ai tempi nostri c’erano solo due modi per farlo: sentire la radio o comprare dischi. Adesso i ragazzi hanno a disposizione tutto quello che vogliono ascoltare, ma questo provoca dispersione, la nostra generazione poteva parlare tutta lo stesso linguaggio, ora è impossibile».
Cosa resta della forza di quel rock? 
«La capacità di comunicare. E le performance dal vivo conservano la stessa forza, specie in momenti così frustranti come quelli attuali è importante che ci siano questi lampi».
Nei suoi concerti ci sono molti omaggi ai grandi del passato, da Elvis a Lennon, ovviamente a Dylan. 
«Sono le cose che mi piacciono e cambiano sera dopo sera perché non faccio mai lo stesso concerto». 
Non manca mai Because the Night, incisa esattamente 40 anni fa. Lei registrava il suo album Easter e, nello studio accanto, Springsteen lavorava a Darkness on the Edge of Town.
«Capitò che il suo produttore, Jimmi Iovine, era il mio ingegnere e mi disse che Bruce aveva difficoltà a finire Because the Night e pensava di non inserirla nell’album perché era un’ennesima canzone d’amore. Io, a quel tempo, avevo cominciato la storia con mio marito e stavo scrivendo varie canzoni d’amore, fu facile completare Because the Night». 
«L’amore è un banchetto che ci sfama» recita il testo. La storia con Fred Sonic Smith, fermò la sua vita, addirittura si ritirò dalla musica. 
«Ma non fu solo per amore. Il mondo della musica si stava appropriando della mia vita e volevo aver tempo per studiare, per leggere».
Ma quando suo marito Fred è morto, è tornata alla musica.
«Anche in quel caso non fu facile, ma dovevo darmi da fare per vivere».
Non è curioso? La musa del rock ha un rapporto molto distaccato con la musica: è entrata, uscita, fa molte altre cose, scrive libri più che fare dischi. 
«Non mi faccio coinvolgere troppo. Sono fatta così. Forse, se avessi scelto di fare solo la scrittrice mi sarei sentita più a mio agio. Quanto ai dischi, ne farò uno nuovo entro l’anno. Parlerà dello stato dell’uomo al nostro tempo».
Un tema politico? 
«Non direttamente. Di politica mi sono occupata con un piccolo libro, New Jerusalem, che è una mia risposta alla scelta di Trump di trasferire l’ambasciata americana nella città santa. Quel luogo non può essere capitale di nessuno è la capitale di tre fedi diverse, quella cristiana, la musulmana e l’ebrea».
Il suo libro Just Kids sulla sua amicizia con Mapplethorpe ha avuto grande successo. Ci sarà un seguito?
«Lo sto scrivendo, ma sarà centrato più su me stessa, sulla mia carriera, mio marito, quello che mi è accaduto».
Mi tolga una curiosità: dopo la sua performance al Nobel al suo posto, che le ha detto Dylan?
«Bob è una persona molto privata. Ho parlato con la sua famiglia, non con lui. Nel passato abbiamo fatto cose assieme, ma non voglio intrufolarmi nel suo privato. Gli piace fare quello che vuole, dipinge, canta le canzoni di Sinatra. Non mi importa il resto, ha dato tanto. Per me è come Picasso».
Come dice Patti, il concerto di domani all’Auditorium («ci torno sempre volentieri: 15 anni fa fui io a inaugurarlo» ricorda) sarà una celebrazione del rock, da People have the Power a Redondo Beach, a Ghost Dance, a Gloria che incise nel 75 con un testo suo che comincia in modo tosto, così: «Gesù è morto per i peccati di qualcuno, ma non per i miei».