Figlia di un uomo d’affari e di un’insegnante, Pretty si è formata prima al South African College of Music di Cape Town, poi all’Accademia della Scala. Nel suo lavoro, afferma, «l’arte si raggiunge non solo tramite la voce, ma con tutto il proprio essere: mente, anima e corpo».
Quando si è accorta della potenza delle sue virtù vocali?
«Prestissimo. C’è stata sempre musica in casa mia e si cantavano inni alla fine di ogni pasto. Andavo a messa con mia nonna e lei, per strada, m’insegnava canzoni.
A cinque anni cantavo da solista in chiesa. Ma la mia scoperta della lirica avvenne solo a sedici anni, quando vidi in televisione una pubblicità di British Airways che usava il Duetto dei fiori della Lakmé di Delibes. Mi sembrò un fenomeno sovrannaturale: non credevo fosse umanamente possibile usare la voce così. Andai dalla maestra di coro del liceo supplicandola d’insegnarmi quel modo di cantare».
Qualche anno dopo sarebbe approdata a Milano, dove studiò con Mirella Freni.
«Fu un’immensa fonte d’ispirazione. Mi disse che avevo un ottimo potenziale e m’incoraggiò verso il belcanto. I suoi consigli sulla voce e sul controllo del respiro sono stati decisivi per me».
Qual è il suo personaggio operistico preferito?
«Forse Lucia di Lammermoor, capace di condurmi in dimensioni spirituali che prima mi erano ignote».
Si sente legata alla lingua Zulu nella quale è cresciuta?
«Certo! La parlo quando torno a casa e ha aiutato il mio apprendimento dell’italiano, dato che da un punto di vista fonetico le due lingue hanno analogie: entrambe abbondano nell’uso di vocali. Devo ringraziare il mio orecchio e il fatto di essere nata in una terra che ha undici lingue ufficiali (ne parlo quattro) se oggi posso esprimermi in italiano, inglese e francese e capire il tedesco e lo spagnolo».
In inglese il suo nome significa “carina”, secondo una tradizione Zulu che considera i nomi di buon auspicio (suo fratello si chiama Prosper): infatti lei è baciata dalla bellezza.
«Da adolescente non mi sentivo bella né graziosa. Anzi: ero insicura e problematica.
Crescendo mi sono tranquillizzata. Ho capito quant’era giusta una frase che ripeteva mio padre: la bellezza non ha confini. Sembra vivere riflessa nello specchio, ma in realtà la sua luce e il suo significato stanno dentro di noi».
Nel 2019 sarà “Traviata” all’Opéra di Parigi: il colore della sua pelle inciderà sullo sviluppo teatrale del ruolo?
«Mi emoziona l’idea di affrontare per la prima volta Violetta con la direzione di Michele Mariotti e la regia di Simon Stone in una nuova produzione montata apposta per me. Non so come evolverà il personaggio, ma è chiaro che un muro di pregiudizi sta cadendo. Però le istituzioni musicali classiche devono ancora lavorare molto per risolversi a ingaggiare giovani artisti neri storicamente esclusi da questa meravigliosa forma d’arte. E io mi batterò per questo».