la Repubblica, 9 giugno 2018
Caterina la sanguinaria e la notte che divise la Francia
Il 23 agosto di ogni anno Voltaire si vestiva a lutto e vegliava fino all’alba del giorno successivo per commemorare “il più disgustoso esempio di fanatismo mai registrato a Parigi”. È infatti nel corso di quella notte del 1572, passata alla storia come la notte di San Bartolomeo, che nella capitale francese aveva preso l’avvio il massacro di migliaia di protestanti che aveva insanguinato il Paese. Sulle diverse chiavi di lettura di questo evento tristemente celebre torna ora a fare il punto Stefano Tabacchi (già autore di due pregevoli biografie di Maria de’ Medici e di Mazzarino) ne La strage di San Bartolomeo (Salerno Editore, pagg.152, euro 13). Ma incominciamo dai fatti. Solo sei giorni prima della mattanza, tutto lasciava sperare che le guerre di religione che avevano sprofondato la Francia nella barbarie fossero giunte finalmente a termine. Celebrato sul sagrato di Notre-Dame il 18 agosto, il matrimonio di Enrico di Navarra, capo degli ugonotti, con Margherita di Valois – la celebre reine Margot –, sorella del re di Francia, Carlo IX di Valois, non annunciava forse l’inizio di una pacifica convivenza tra cattolici e riformati? Era questo l’obiettivo su cui aveva puntato Caterina de’ Medici nel dare la sua recalcitrante ultimogenita in sposa al cugino Borbone. Da più di vent’anni, a partire dalla morte del marito, Enrico II, la regina fiorentina, che governava di fatto il Paese al posto dei figli Francesco II e poi Carlo IX tentava di trovare una via di uscita ai conflitti che minavano l’autorità della corona e l’integrità stessa del regno.Caterina era convinta che, riflesso di una stessa verità divina, le due diverse letture del cristianesimo potessero benissimo convivere, ma doveva fare i conti con l’intolleranza dei cattolici e l’intransigenza dei protestanti.Optare per i cattolici significava dare un potere illimitato al clan dei Guisa, proprietari di un terzo del territorio del Paese e legati a filo doppio con la Spagna, nemica storica della Francia. Privilegiare gli ugonotti implicava, invece, allearsi con la Fiandra protestante e muovere a Filippo II una guerra dagli esiti terribilmente incerti.Caterina aveva dunque, una volta di più, dato prova del suo talento diplomatico, facendo del matrimonio della figlia il simbolo di una politica di conciliazione.Tutto era andato per il meglio ma, dopo cinque giorni di festeggiamenti, l’attentato contro l’ammiraglio di Coligny, uno dei capi della religione riformata, dava inizio al dramma. Indignati, gli ugonotti venuti a Parigi da tutta la Francia per assistere alle nozze, avevano chiesto giustizia a Carlo IX che si trovava in realtà con le mani legate. Riunita al Louvre, e difesa da poche guardie, la famiglia reale era di fatto prigioniera di un duplice assedio: quello interno dei molti ugonotti, ospiti nella reggia, e quello esterno della popolazione parigina, ostile ai protestanti e sobillata dai Guisa. Chiamato ad affrontare l’emergenza, il consiglio della corona si riunì a più riprese nel pomeriggio e nella notte del 23. Non è rimasta traccia di chi vi prendesse parte e di quanto fu detto, ma alla fine si optò per quello che dovette sembrare il minore dei mali: l’eliminazione di un numero limitato di capi ugonotti, vuoi per evitare un colpo di mano degli ospiti, vuoi per placare il fanatismo ultracattolico della plebe parigina. Ma quella che doveva essere una operazione chirurgica sfuggì rapidamente al controllo dei suoi organizzatori, trasformandosi in un immenso massacro. Offrendoci una ricostruzione estremamente efficace del contesto storico e della dinamica che aveva innescato la spira di violenza della notte di San Bartolomeo, Tabacchi sottolinea come anche questo evento non sia sfuggito alla tendenza oggi assai diffusa tra i politici e gli uomini di governo che, mossi da “preoccupazioni contingenti”, privilegiano “una memoria pubblica sulla base di una centralità delle vittime”, distorcendo la nostra percezione del passato. La violenza del fondamentalismo islamico viene così spesso accostata a quella di cui è stata teatro l’Europa del ’500. Certamente “Caterina non era una santa”, ma a ispirare la sua condotta non era il fanatismo religioso bensì, come ci ricorda Tabacchi, “la volontà di affermare la priorità del potere politico e delle istituzioni statali rispetto alle confessioni religiose”. E se il massacro di San Bartolomeo segna la sua sconfitta, sarà il genero, una volta salito sul trono con il nome di Enrico IV, a realizzare il suo sogno.