la Repubblica, 9 giugno 2018
A proposito del termine fascista
L’abuso del termine “fascista” è stato, lungo i decenni, uno dei difetti culturali della sinistra italiana. In parte spiegabile con il fatto che l’Italia del fascismo è stata effettivamente madre e padre; in parte non giustificabile, perché frutto di pigrizia intellettuale: un comodo anatema per esorcizzare l’avversario.È dunque con circospezione che si deve dire: fascista. Ma sarebbe ugualmente grave, come difetto culturale, non dirlo quando occorre dirlo.
Nella presente contingenza storica, per esempio, classicamente fascista è il ricorso ossessionante al concetto di Nazione (“Noi”) come sede del Bene, e allo Straniero (gli “Altri”) come vettore del Male. Quando parla Steve Bannon (lui sì, davvero, uno dei capi del nuovo fascismo mondiale) il termineforeign, straniero, ricorre ogni tre parole, come un mantra: tutto ciò che è foreign è abusivo, contamina, corrompe, distrugge, sia che abbia la forma lussuosa e perversa degli odiati “mercati mondiali”, sia che abbia le sembianze derelitte dei migranti africani o messicani. Ogni cedimento internazionalista, cosmopolita, umanitarista (“mondialista”, dicono i fascisti) è trattato con odio e disprezzo, come una infezione che intacca l’integrità del corpo-nazione. La coincidenza tra antifascismo e cosmopolitismo sarà presto, per i democratici di tutto il mondo, una evidenza indiscutibile. Anzi, lo è già adesso.