Tuttolibri, 9 giugno 2018
Le regole di William Saroyan: «Vuoi essere uno scrittore? Perdi al gioco e dormi bene»
Scrivo una prefazione alla prima edizione così se per caso ci fosse una seconda edizione potrò scrivere una prefazione alla seconda edizione, riassumendo i concetti espressi nella prefazione alla prima edizione, accennando a cos’ho fatto nel frattempo e così via.
Se poi si arrivasse anche a una terza edizione, è mia intenzione scrivere una prefazione alla terza edizione, con una sintesi di quello che avevo detto nelle prefazioni alla prima e alla seconda edizione; sono fermamente deciso a continuare a scrivere prefazioni alle nuove edizioni di questo libro fino alla morte. Per il seguito faccio affidamento su figli e nipoti.
In questa prima prefazione, senza un’idea precisa di quante copie si venderanno, posso soltanto parlare di come sono arrivato a scrivere questi racconti. Anni fa, nella mia città natale, grazie all’istruzione a tutto tondo impartita alla scuola elementare, appresi che i racconti sono un prodotto abbastanza strampalato, sfornato nei secoli (per le ragioni più strampalate) da personaggi strampalati, e che regole ben determinate ne disciplinano la stesura. Cominciai immediatamente a studiare tutte le regole classiche, comprese quelle di Ring Lardner, e alla fine scoprii che quelle regole erano sbagliate.
L’errore marchiano era stato tagliarmi fuori, mentre, per quel che potevo giudicare, ero io il personaggio chiave in materia, quindi non mi restò che stabilire regole nuove. La regola numero uno la scrissi a undici anni, fresco di espulsione dalla scuola per aver preso la parola quando non era il mio turno, del tutto deliberatamente.I gnora le regole stabilite da altri, scrissi. Le hanno inventate soltanto per il loro comodo, all’inferno loro e le loro regole (ero piuttosto amareggiato, quel giorno). Diversi mesi dopo sancii la regola numero due, che fece sensazione. Fece sensazione presso di me, quantomeno. Eccola qui: lascia perdere Edgar Allan Poe e O. Henry e scrivi i racconti che ti va di scrivere. Lascia perdere chiunque abbia scritto qualcosa. Da allora ho posto altre quattro regole, e mi pare che bastino. Talvolta non mi preoccupo minimamente delle regole, mi limito a sedermi e scrivere. Ma è successo anche che scrivessi in piedi. La mia terza regola è: impara a battere a macchina, potrai confezionare racconti alla stessa velocità di Zane Grey. Una delle mie regole migliori.
Ma le regole senza un sistema, come vi dirà qualsiasi bravo scrittore, sono radicalmente inadeguate. Si può anche tralasciare il «radicalmente», il senso della frase non cambia, ma è sempre meglio infilare un «radicalmente» appena si può. Gli scrittori di successo credono che una parola da sola non significhi abbastanza, che sia opportuno enfatizzare il significato di una parola con l’aiuto di un’altra. Alcuni scrittori si spingono fino a puntellare una povera parola innocente con altre quattro o cinque, e talvolta capita anche che la uccidano per eccesso di carità, e per uno scrittore ignorante, senza la minima esperienza di aggettivi, possono volerci anni e anni per riportare alla vita una parola uccisa per troppa gentilezza. Comunque, questi racconti sono il risultato di un metodo di composizione. Io lo definisco metodo di composizione «fusto» o anche «festa» e funziona così. Un tale che non è uno scrittore inizia a desiderare di diventare uno scrittore, e persevera nella sua aspirazione per dieci anni; a quel punto avrà convinto parenti, amici, e persino se stesso di essere uno scrittore, ma intanto non ha scritto un bel nulla e non è più un ragazzino, quindi comincia a preoccuparsi. Ciò di cui ha bisogno adesso è un sistema. Hanno autorevolmente affermato che esistono addirittura quindici sistemi, ma la verità è che i sistemi sono soltanto due: 1) si può decidere di scrivere come Anatole France, Alexandre Dumas o come qualcun altro oppure 2) si può decidere di dimenticare del tutto di essere uno scrittore, sedersi davanti alla macchina per scrivere e mettere le parole sulla carta, una dopo l’altra, meglio che si può. Il che solleva la questione dello stile.
La questione dello stile è una delle più controverse, ma per me è semplice come bere un bicchier d’acqua, se non di più.Uno scrittore può utilizzare, in definitiva, uno di questi due stili: può scrivere come se ritenesse la morte inevitabile, oppure come se la ritenesse non inevitabile. Qualunque stile mai utilizzato da uno scrittore è stato influenzato dall’uno o dall’altro di questi atteggiamenti verso la morte.
Se scrivi convinto che alla fine tu e tutti gli altri viventi siete destinati a morire, c’è la possibilità che il tuo stile sia abbastanza onesto. Diversamente è probabile che tu sia debole o pomposo. D’altra parte, per non uscire matto, devi credere che come la morte è una realtà anche la vita è una realtà. La terra è una realtà, le persone e gli altri esseri viventi sono una realtà, soltanto che nessun uomo può rimanere a lungo in questo mondo. Non è il caso di essere tragici o melodrammatici in proposito. Anzi, la verità è che ci si può divertire parecchio. Si tratta di una faccenda fondamentalmente umoristica, le occasioni di ridere non mancano. Se ti concentri sul fatto che chi ora è vivo presto sarà morto, riuscirai a individuare, nella sua condotta, aspetti comici che altrimenti non avresti mai notato.
Il suggerimento più importante per uno scrittore, tuttavia, è questo: impara a respirare profondamente, a gustare davvero il cibo quando mangi, e quando dormi, dormi davvero. Cerca di vivere più che puoi, con tutte le tue forze, e quando ridi, ridi con tutto il cuore, e quando ti arrabbi, arrabbiati fino in fondo. Cerca di vivere. Ben presto morirai.