La Stampa, 9 giugno 2018
Al G7 i leader alla scoperta di Conte: «Lei quale materia insegna?»
Si stava parlando delle sanzioni a Mosca al tavolo ristretto europeo e a un certo punto tutti i presenti, la tedesca, l’inglese, il francese, il lussemburghese, il polacco, che tra loro già si conoscevano, stavano chiudendo frettolosamente la faccenda. Tanto sapevano di essere d’accordo e come la pensavano gli altri. È stato a quel punto che l’italiano, che alcuni non avevano mai visto e altri avevano conosciuto qualche minuto prima, ma che tutti sembravano ansiosi di liquidare come il cugino muto, ha chiesto di intervenire: «Vorrei spiegare meglio la posizione dell’Italia». È così che Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno fatto la conoscenza del professore Giuseppe Conte, l’ospite più atteso, il mister X che temevano non sarebbe mai arrivato. Dopotutto, non è semplice abituarsi a questa storia: un anonimo avvocato e docente universitario che fino a una settimana fa era alle prese con tesi e studenti, oggi governa una delle 7 potenze, chiamato a saldare l’alleanza impossibile tra due partiti che un giorno sì un giorno no se la prendono con l’Ue, i mercati, i poteri forti e chi più ne ha più ne metta.
E invece come un colpo di vento sembra di sentire un sospiro di sollievo filtrare dalle finestre della tenuta di La Malbaie. «Dopo il primo incontro mi sento rassicurato» commenta il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker, e così Merkel e Macron. In fondo, è tutto qui. Il mite e timido professore che unico oltre a Trump arriva senza la first lady, non è il fantasma populista che temevano. Conte è un grande bagno di normalità. I leader gli infiocchettano abbracci, strette di mano e sorrisi in una cooptazione rituale che avvolge ogni capo di Stato e di governo al suo debutto, soprattutto se devono togliergli via dalla testa strane idee. Gli chiedono: «Cosa insegni?». «Diritto», risponde.
Nei toni, nella lunghezza delle risposte, nelle parole che inseguono un pensiero articolato, Conte è quello che è: un professore non ancora abituato all’azione della politica e ai suoi tempi ghigliottinati. E porta con sé anche tutta la sofferenza del professore, l’ansia di approfondire ogni dettaglio, di coltivare la terra che dovrà calpestare. Quando sale sull’aereo di Stato, dopo aver cercato inutilmente di pagare un biglietto di linea, chiede di rivedere ogni singolo dossier che gli sherpa in quota al precedente governo gli hanno preparato. Con lui ci sono il portavoce Rocco Casalino, il capo dell’ufficio stampa Maria Chiara Ricciuti, l’uomo dei social network, Dario Adamo, Tommaso Donati che sarà il capo del legislativo di Palazzo Chigi: pezzi della squadra che aveva attorniato Di Maio.
Il viaggio si porta via il sonno, l’emozione della prima volta è fissa nella faccia stropicciata di chi è stato catapultato in un altro mondo. «Fosse solo il G7, tutto è nuovo per noi» ammette affidandosi al cerimoniale di Palazzo Chigi, all’ambasciatrice Maria Angela Zappia, la consigliera del predecessore Paolo Gentiloni, che a breve lo saluterà per l’Onu ma che ora è qui come la sua fatina ad accompagnarlo tra le insidie della diplomazia. Conte è un estraneo nella tribù rissosa dei leader. Dopo la foto di rito con il fiume San Lorenzo di sfondo resta un passo indietro, isolato, e guarda nervosamente l’orologio. Ma sa anche essere un po’ piacione come quando a Donald Tusk che lo vezzeggia, «Giuseppe Conte… un nome facile da ricordare», risponde «You don’t need introduction». Tu non hai bisogno di presentazioni.