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 2018  giugno 08 Venerdì calendario

Rai, la carica dei 236 curricula (ma scelgono sempre i partiti)

«Guardi, capiremo presto se faranno le nomine come si sono sempre fatte in Italia oppure se siamo in presenza di una novità storica». Giovanni Minoli, 73 anni, il padre di “Mixer”, è una delle 236 personalità che hanno presentato la propria candidatura per il nuovo cda Rai. Il parlamentino di viale Mazzini scadrà il 30 giugno e la Rai è uno dei banchi di prova su cui si misurerà la discontinuità del «governo del cambiamento». È anche la prima volta che entra in vigore la legge Renzi, varata nel 2015, che demanda direttamente al voto delle Camere la scelta di quattro componenti del consiglio: la norma impone che vadano pescati tra una rosa di figure i cui curriculum devono essere pubblicizzati, per legge, sui siti internet di Camera, Senato e Rai, «almeno 60 giorni prima della nomina».
Si sono fatte avanti figure chiave della nostra tv come Michele Santoro, ma anche il membro laico del Csm Paola Balducci; l’iperberlusconiano Pietro Vigorelli, già vice del Tg5, ma anche i membri uscenti Rita Borioni, Arturo Diaconale, Carlo Freccero, Giancarlo Mazzuca e Franco Siddi; il reporter tedesco Wolfgang Achtner, una vita nei maggiori network tv, che nel 2003 girò un doc sui Girotondi ma pure l’ex direttore di Rai Uno negli anni del centrodestra imperante, Fabrizio Del Noce; lo sceriffo del web, il generale Umberto Rapetto, il produttore tv Francesco Siciliano, il manager Alberto Conti, che già occupò la carica negli anni 1998-2002.
E poi c’è l’ex delle Iene Dino Giarrusso, che non fu eletto il 4 marzo nelle file dei Cinquestelle e ora cura la comunicazione per Roberta Lombardi alla Regione Lazio: «Mi sembra di avere un curriculum adeguato», si limita a dire. In teoria, uno dei favoriti. «C’è un bando e ho risposto, come hanno fatto tanti altri», vola basso.
Che titoli ha Nunzia De Girolamo, non eletta in Parlamento dopo una vita in Forza Italia, salvo una parentesi con l’Ncd di Alfano? «Conosco la tv dal di dentro, per esservi stata molte volte come ospite; inoltre sono avvocato e ho un dottorato in economia aziendale. Questa sfida m’interessa doppiamente: sia come prospettiva professionale sia per capire se le scelte che faranno sono effettivamente meritocratiche». Poi De Girolamo domanda: «Non ho però capito chi stabilisce i criteri di scelta fra questi 236?». Lo chiediamo a Freccero, anche lui candidato: «Ah, non l’ho capito nemmeno io». Rivolgiamo la domanda al deputato democratico Antonello Giacomelli, che ebbe la delega alle Comunicazioni nei governi Renzi e Gentiloni: «Non c’è un criterio, né una commissione che farà una scrematura: la scelta è demandata alle aule parlamentari. Ma, a differenza del passato, quando la partita si giocava in Vigilanza, ora tutto avverrà sotto i riflettori del Parlamento e in più s’imporranno delle intese che potranno favorire la qualità dei consiglieri».Questa selezione rischia di rivelarsi un’impostura, considerato l’attivismo sotterraneo dei partiti populisti, che possono fare l’en plein: per non parlare dei due membri nominati direttamente dal governo M5S-Lega.
L’ex premier Matteo Renzi volle questa legge, accusò all’epoca il berlusconiano Maurizio Gasparri, perchè, dopo le europee del 2014, era convinto di poter contare su una maggioranza schiacciante in Parlamento. «Ora invece rischiamo di restare a mani vuote, non toccheremo palla», chiosa il pd Michele Anzaldi. «Per questo dico che dovremmo proporre Michele Santoro e, con quel nome, sfidare i grillini».«Vediamo cosa cercano: una figura con una dimensione manageriale o più un direttore di rete o uno che ha avuto la responsabilità di programmi?», ragiona Minoli. «Probabilmente un manager a tutto tondo. Io ho un curriculum da spavento: direttore di Rai2, di Rai3, di Rai Educational, di Rai Storia, Rai Scuola, e ho confezionato un’enorme quantità di prodotti; diamogli fiducia, non costa niente». «Il rischio», prevede Freccero, che è in Rai su designazione dei Cinquestelle, «è che alla fine si cada tra i caminetti dei partiti, se i criteri non saranno meglio precisati». Il punto è come si stabilisce chi ha i titoli giusti? La Rai è sempre stata la palestra del manuale Cencelli, dove nella Prima Repubblica si perfezionò la massima: «Ne assumiamo uno in quota Dc, uno Psi, uno Pci e poi uno bravo». Si rischia di rimpiangerla.