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 2018  giugno 08 Venerdì calendario

Da Fontana a De Chirico, i falsi si scoprono grazie a una foto

La tecnologia si prepara a curare le inefficienze del mercato dell’arte. La rivoluzione blockchain, il sistema informatico di condivisione e aggiornamento sicuro di dati, permetterà di certificare provenienza e autenticità delle opere. E tecniche di riproduzione sempre più precise ne garantiranno la conservazione e la valutazione. Queste novità, che sono in parte già realtà allo studio delle più grandi case d’asta del mondo, sono rappresentate in Italia da un piccolo progetto che potrebbe avere grande avvenire. Si tratta di Memooria, la società modenese che lavora alla prima macchina italiana per l’acquisizione digitale di immagini 2D e 3D di alta qualità con archiviazione blockchain, che verrà sperimentata su 20 opere tra Fontana, De Chirico, Carrà, Sironi, Guttuso e Casorati della Casa museo Boschi-Di Stefano di Milano. «Nel 2015 lavoravo a una campagna pubblicitaria per gli Uffizi di Firenze – ricorda Luca Ponzio, ad di Memooria -. L’intento era di valorizzare le opere con foto ad alta definizione, ma mi sono accorto che sul viso di Flora nella Primavera del Botticelli c’erano delle crepe impercettibili, così l’operazione è servita anche a fini conservativi». Dopo aver scattato centinaia di foto in 40 minuti, con una precisione di un decimo di millimetro, pixel per pixel si possono confrontare le immagini meglio che a occhio nudo: «Siamo unici al mondo per criteri di qualità – spiega Camilla Perondi, diagnosta dei Beni culturali e socia di Memooria -. Non sostituiremo la verifica umana, ma la supporteremo nella salvaguardia dell’opera e nella conservazione preventiva». 
La sperimentazioneUna prima prova è stata fatto sul Facitore di trofei di De Chirico, dove le foto hanno portato alla luce «decomponimenti dello stato pittorico e perdite di colore, rilassamento della tela, deformazione del telai, nonché la tecnica particolare di certe pennellate», decreta Perondi. Un’operazione che si può allargare ad affreschi, arazzi, statue e libri antichi: «Le foto riproducono il visibile di un oggetto, ma visto con tanti occhi e si possono salvare con riferimenti di data e origine sicuri grazie a blockchain. In pratica, si prende il dna dell’opera e lo si distribuisce a prova di hacker», sintetizza Giovanni Borelli, responsabile tecnologico e socio di Memooria.Un cambiamento non senza conseguenze. Nel caso di un prestito, per esempio, si possono verificare subito lo stato e la veridicità dell’opera. «È l’inizio di una nuova era per il mondo dell’arte. Questa tecnologia darà alla comunità la capacità di lavorare su nuovi dati ed è inimmaginabile a oggi dove questo possa portare. Certamente ad una più facile conservazione e certificazione delle opere, poi chissà», immagina Alberto Sanna, altro socio di Memooria.Il museoEd è incredibile che tanta tecnologia venga applicata proprio in Casa Boschi-Di Stefano, uno dei musei più appartati di Milano, dove le pareti sono tappezzate di quadri tanto che i muri quasi non si vedono. Un museo, donato alla città, che nasce dall’amore di Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, lui di Novara, inventore alla Pirelli e lei milanese e scultrice. «Un ambiente non climatizzato, come le case di una volta – rivela Maria Fratelli, direttore del Servizio Case museo della Soprintendenza – per cui sarà ancora più interessante valutare il cambiamento nel tempo delle opere».L’applicazione di Memooria è prima di tutto a scopo conservativo, si tratta infatti di un’impresa sociale che ha vinto il bando della Fondazione Cariplo, ma ne è chiara la potenzialità grazie alla condivisione tramite blockchain. Va aggiunto però che come ogni invenzione presenta pure dei rischi. La capacità di riprodurre alla perfezione un’opera, addirittura al di là della capacità umana, potrebbe portare infatti a copiare e magari stampare in 3D quadri finora irreplicabili. «La tentazione di avere ognuno la sua Gioconda – rileva Fratelli – può essere utile per delle mostre non scientifiche o per una biblioteca dell’arte, ma presenta anche qualche interrogativo».