La Stampa, 8 giugno 2018
Pessoa e il mago Crowley, la burla del finto suicidio
Il 23 settembre 1930 l’«uomo più cattivo del mondo» sta parlando con Fernando Pessoa al Café Arcada di Lisbona. Aleister Crowley, mago famigerato, poeta, pittore e alpinista, conosce lo scrittore portoghese da pochi mesi attraverso una corrispondenza che quasi immancabilmente si apre con un massonico «Care frater». Un’attrazione, non solo letteraria, per l’occulto lega i due personaggi insieme con una serie di interessi ed equivoci legati alla comune carenza cronica di denaro.
Due giorni dopo, il giornalista Augusto Ferreira Gomez, vecchio amico di Pessoa anche lui occultista, trova «casualmente» il portasigarette di Crowley sul bordo della Boca do Inferno, un crepaccio nella scogliera di Cascais. La natura furiosa del luogo, che sembra tolta da un quadro di Friedrich, è nota per attrarre i suicidi. Chi vuole sparire tra le onde schiumanti deve passare sulla strada costiera che una quindicina di anni dopo percorrerà Umberto I di Savoia per raggiungere Villa Italia, la dimora dell’esilio portoghese. Il portasigarette lasciato sull’orlo del baratro tiene fermo un biglietto in inglese con la data astrologica e certe strane sigle. Il testo dice «Non posso vivere senza di te. L’altra Boca do Infierno [sic] mi divorerà. Non sarà tanto ardente quanto la tua». Lo stile e la firma, Tu Li Yu, un presunto saggio cinese di cui Crowley si crede l’incarnazione, sembrano indicare che la Bestia 666, come il mago si faceva chiamare. avesse deciso di uccidersi. La polizia apre un’inchiesta ma in mancanza di un cadavere approderà a nulla; è noto, d’altro canto, che difficilmente la Boca restituisce il suo pasto.Si sa che il misterioso episodio, su cui si scatenò la fantasia dei giornali portoghesi e inglesi, fu una burla per rialzare le quotazioni editoriali del mago in bolletta. A quell’episodio, scomposto poi dalla scrittura di Pessoa come in un esperimento magico, è dedicato La bocca dell’Inferno (pp. 254, € 20), un libro pubblicato con lo scrupolo di un tempo da Federico Tozzi editore in Saluzzo e curato da Marco Pasi, professore di Storia della filosofia ermetica all’Università di Amsterdam, che annota fittamente le lettere dei protagonisti e la bozza di romanzo lasciataci da Pessoa.
Con un colpo di scena degno della sua proteiforme biografia, Crowley ricomparve dopo qualche tempo a Berlino insieme con Hanni Jaeger, la giovane tedesca alla quale era indirizzato il biglietto di addio lasciato a Cascais. «Ora che il mio corpo è stato ritrovato», ironizza il mago in una lettera al frater portoghese, «mi sento più tranquillo». E poi aggiunge: «Al momento giusto sveliamo ogni cosa. Da una parte faremo ridere tutti e poi daremo una bella spinta alla Ditta». Toccava al portoghese raccontare tutto in un romanzo, da tradurre poi in inglese.
È molto probabile che la messinscena sia stata ispirata da un burlone professionista, Horace de Vere Cole. che Crowley incontrò al Café Royal di Londra poco prima di partire per Lisbona. La sua performance più celebre è ricordata come «la burla della Dreadnought»: nel 1910, presentò sé e un gruppo di amici (tra cui la giovane Virginia Woolf) come una delegazione della casa reale abissina e fu ricevuto con tutti gli onori a bordo della Dreadnought, l’ammiraglia della Marina britannica. Non a caso. uno dei personaggi del libro incompiuto di Pessoa, un «doppio» di Crowley, si chiama appunto Cole.
Sotto la penna dello scrittore, il sensazionalismo giornalistico prende una dimensione letteraria, riecheggiando (pur nella incompletezza del testo) giochi di specchi pirandelliani, atmosfere alla Rashomon. Man mano che lo scrittore, sotto la maschera di un detective, si avvicina ai fatti, gli avvenimenti si sdoppiano, si confondono, come se la realtà poggiasse su un tessuto d’ombra. Spiega infatti Pessoa al detective (il Pessoa narrante): «L’universo è una successione di fenomeni che si interpretano, per cui ogni esperienza è una confusione di cose, una nebbia di realtà». La conclusione del ragionamento è un elogio, non poco ironico, della miopia da cui lo stesso letterato era affetto.
Il libro pubblica anche le poesie che Pessoa inviò a Crowley e soprattutto la traduzione che il portoghese fece dell’Inno a Pan, una composizione dell’inglese non del tutto priva di qualità letteraria. A differenza dei suoi rozzi futuri emuli nel mondo della cultura pop, Crowley, per quando eccentrico e smodato, aveva studiato a Cambridge, era colto e amava frequentare artisti e scrittori. Come ricorda nella postfazione Giuliano d’Amico, docente all’Università di Oslo, anche se non sempre i suoi componimenti raggiungono un valore elevato, «alcuni sono interessanti sotto il profilo stilistico e storico letterario».