Il Sole 24 Ore, 8 giugno 2018
La guerra (persa) dello zucchero italiano
Trentaduemila ettari coltivati a barbabietola, concentrati fra le campagne padovane e quelle bolognesi. È tutta qui, la fortezza Bastiani dello zucchero italiano. Da 19 zuccherifici, nel giro di neanche una dozzina di anni, siamo passati a due soltanto. Li gestisce entrambi la cooperativa Coprob, che riunisce 7mila aziende di coltivatori della barbabietola da zucchero e 250 operai nei due stabilimenti di trasformazione, quello di Minerbio e quello di Pontelongo. Sugli scaffali dei supermercati, si presenta con il marchio Italia Zuccheri. Eppure, l’Italia è il terzo consumatore di zucchero in Europa.
Che fine hanno fatto, tutti gli altri zuccherifici? Sono stati spazzati via dalla fine del sistema delle quote, che nell’Unione europea per decenni ha gestito lo zucchero esattamente come il latte, e che quando è venuto meno – ufficialmente a partire dal 1° ottobre 2017 – ha creato ugualmente scompiglio. Liberalizzata la produzione, il prezzo della materia prima è crollato: da 600 euro di un anno fa ora siamo intorno ai 370 euro alla tonnellata. Peccato che per rientrare nei costi e fare profitto bisogna stare sopra quota 400.
Concorrenza sleale, gridano fianco a fianco i produttori, i coltivatori e anche i sindacati che difendono i lavoratori del settore. Per una volta, però, i soliti Paesi emergenti che invadono i mercati europei con produzioni low cost non c’entrano. Questa è la storia di uno scontro tutto interno alla stessa Ue. Da una parte il blocco franco-tedesco, e dall’altra l’Europa della periferia: Italia, Spagna, Croazia e anche Polonia.
«Quattro colossi, due tedeschi e due francesi, controllano il 75% del mercato europeo – racconta Stefano Dozio, direttore generale di Coprob – e vendono sottocosto. Una tonnellata di zucchero arriva in Italia dal Nordeuropa a 350-360 euro inclusi i 50-60 euro necessari per il trasporto. È evidente che con questi prezzi noi non possiamo competere, nonostante i nostri soci abbiano accettato per quest’anno una riduzione delle remunerazioni del 10 per cento».
Il punto, però, è che con questi prezzi sono in perdita anche i grandi produttori nordeuropei: «Producono sottocosto per eliminare i concorrenti dal mercato», sostiene Roberto Iovino, responsabile del settore zucchero della Flai Cgil, e lo ha dichiarato anche durante l’audizione all’Europarlamento l’anno scorso. «Gli analisti del comparto concordano che fra un paio d’anni il prezzo dello zucchero risalirà e a quel punto chi sarà rimasto sul mercato tornerà a guadagnare». Coprob per ora ci prova, a resistere: «Siamo solidi e ben patrimonializzati», sostiene Dozio. Intanto però, a maggio, i tre sindacati nazionali Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil hanno dovuto firmare la sospensione per il 2018 del premio di produzione aziendale dei lavoratori addetti agli stabilimenti.
In Italia, per la verità, oltre a Coprob c’è la Sadam, gruppo Maccaferri, ma quella che comincerà ad agosto sarà la sua ultima campagna dello zucchero: «L’azienda si riconvertirà alla produzione di packaging alimentare da biomasse – racconta Iovino – la nuova produzione sarà a regime entro la fine del 2019». Sadam è solo l’ultimo esempio di riconversione del settore: «Quando nel 2006 fu annunciata la riforma europea che avrebbe portato allo smantellamento delle quote – ricorda Iovino – la Ue mise anche sul piatto i finanziamenti per le imprese che avrebbero riconvertito la produzione e salvato i posti di lavoro». In Italia tre zuccherifici effettivamente lo hanno fatto, puntando sulla produzione di energia di biomasse. Gli altri invece, col passare degli anni, hanno chiuso i battenti, e il bilancio è di 5mila posti di lavoro perduti. Eridania? Passata di mano, ai francesi di Cristal Union.
Ora, per salvare quel che resta della filiera dello zucchero italiano, deve scendere in campo la politica. E una battaglia contro lo strapotere franco-tedesco in Europa è pane per i denti del nuovo governo gialloverde. Intanto, i vertici di Coprob hanno incontrato gli assessori all’Agricoltura delle Regioni Emilia Romagna e Veneto, hanno sensibilizzato l’Europarlamento e oggi sono riuniti in assemblea a Fico, per rilanciare l’idea di un Patto per lo zucchero, al quale aderiscono anche i sindacati di settore. «L’Italia – sostiene Dozio – deve chiedere l’intervento della Commissione Ue per concorrenza sleale».
Nel frattempo, una soluzione potrebbe essere quella dei contratti di filiera con l’industria dolciaria italiana, che utilizza i tre quarti di tutto lo zucchero acquistato in Italia e che oggi si rifornisce prevalentemente all’estero. «Abbiamo firmato contratti di filiera per esempio con Barilla e, recentemente, con Irca – racconta Dozio di Coprob – ma ci piacerebbe siglarne uno con qualche grande marchio della grande distribuzione, come Esselunga». Per i sindacati, invece «bisognerebbe tornare sì al regime delle quote: ma non massime, minime – sostiene Iovino della Flai – oppure prevedere, nell’ambito del Patto per lo zucchero, che alemno il 30% dell’approvvigionamento industriale debba derivare da un contratto di filiera made in Italy».