il Giornale, 8 giugno 2018
Viaggio nel paese indiano col più alto tasso di gemelli al mondo
Un cartello colorato di blu all’inizio della strada principale recita: «Benvenuti a Kodinhi, villaggio gemello di Dio». Si trova nel distretto di Malappuram, a 150 chilometri dalla città costiera di Kochi, ed è un paesino di cloni, dove le persone vedono doppio, fanno fatica a riconoscersi pur conoscendosi da una vita e si moltiplicano all’infinito, uguali e diversi, come l’agente Smith di Matrix. Perché qui c’è, senza né una ragione, né un motivo, l’ombelico del mondo dei gemelli, la più alta percentuale del pianeta: su mille nati quarantadue sono doppi, sei volte più della media globale che, dicono, sia di sei per mille nascite. Sono identici, o quasi, come le sorelle Montalcini, le gemelle Kessler, Castore e Polluce. La Terra stessa, secondo i calcoli della sonda Kepler, ha cento milioni di gemelli nell’universo. E su questa i fratelli uguali sono 125 milioni, più femmine che maschi, la maggior parte concentrata in Nigeria.
Al liceo del paesino, il Madrasathul Anwar, Sumayat e Afsayat, 16 anni vissute come davanti allo specchio, hanno finito le lezioni e tornano a casa come ogni giorno insieme ai compagni di classe. Gli insegnanti, dopo anni, hanno ancora difficoltà a distinguere l’una dall’altra: «Nella maggior parte dei casi chiamano tutte e due i nostri nomi per capire chi è chi» ride Sumayat. Succede anche ad altri: a scuola le coppie di gemelli sono diciassette. Quando Arshad e Asif giocano a calcio, gli organizzatori dei tornei del posto cercano di assicurarsi che siano sempre dalla stessa parte per non creare confusione nella squadra avversaria.
Nonostante la popolazione del villaggio sia, otto volte su dieci, musulmana, il «gemellaggio» ha contagiato anche la minoranza indù. E senza che le due comunità si siano mai mescolate. Tutto sarebbe iniziato settant’anni fa, l’età di due sorelle ancora in ottima salute, Kunhi e Pathuty, che non hanno dubbi sul perché di tanta abbondanza: «Questa è la benedizione di Dio, punto e basta. La scienza non può dimostrare nulla di diverso da questo».
Sarà. Ma due anni fa un team multinazionale di ricercatori di India, Germania e Regno Unito è arrivato fin qui per raccogliere campioni di saliva dai gemelli per isolare il loro Dna e cercare di scoprire le ragioni dell’arcano. Un altro gruppo ha lavorato invece sulle misure antropometriche: altezza, peso, forme del profilo facciale, dei denti e del viso. Finora però nessuna conclusione certa. Il dottor Krishnan Sribiju, che vive e lavora qui, è convinto che ci sia qualcosa di chimico nell’aria, nella terra o nell’acqua che stimola l’ovaia a produrre uova dizigote. Però potrebbe essere una sostanza chimica trovata nel patrimonio genetico delle donne l’origine di tutto.
Ma i gemelli restano un mondo misterioso, che nasconde qualcosa di magico e inquietante. Pare certo che abbiano la capacità di capirsi ad occhi chiusi, senza bisogno di parole, e che avvertano, come se fosse la loro, la sofferenza del fratello, come se invece di due persone distinte i gemelli fossero due metà separate. Gli scienziati li considerano un prezioso laboratorio capace di svelare molti misteri della vita umana, che sia un difetto della procreazione o la sua esaltazione. Nel loro essere uno e bino pare si nasconda il mistero dell’esistenza
Ne nascono sempre di più, anche in Occidente, a causa delle terapie contro la sterilità, delle mamme sempre più anziane. «Ma a differenza vostra a Kodinhi non usano metodi artificiali, né pillole o contraccettive: le donne non ricorrono nemmeno al clomifene citrato per promuovere l’ovulazione» dicono i medici al Khmer Times. Anzi, sono tutte giovani e quasi sempre alla prima gravidanza.
Non sono i soli comunque a moltiplicare gemelli come pani e pesci. Altri due villaggi Igbo, in Nigeria, e Cândido Godói, in Brasile, sembrano usciti dalla stessa culla di Kodinhi. Su Cândido Godói, un paesino di 6.500 abitanti nel nord del Brasile i ricercatori si dicono però convinti che il tasso così alto di gemelli sia da attribuire al fatto che si tratta di una comunità chiusa con un’alta incidenza di consanguineità: fratelli che si sposano con cugine e cugini che si sposano con zii. Più che miracolo genetico una grande famiglia.
E fino a qualche anno, sempre in India, c’era Umri, che contava 40 coppie di gemelli omozigoti su 800 abitanti, ovvero ogni nove parti uno era doppio. A Chunycon, in Corea con 38 coppie ogni 275 famiglie, il 36% della popolazione è identico; a Pleucadeuc, piccolo borgo della Bretagna di 1.400 anime, c’era una coppia di uguali ogni 63 persone: i primi, Marie e Jacquette, battezzati il 6 dicembre 1673. Così orgogliosi della propria magnifica diversità da organizzare, come Twinsburg, nell’Ohio, il festival annuale dei gemelli.
Ma non va sempre così. I gemelli fanno anche paura. Gli Antambahoaka, comunità malgascia dal nome impronunciabile, una delle diciotto del Madagascar, crede che i gemelli siano sinonimo di sventura, e prova dell’infedeltà della moglie. Un tempo, raccontano da queste parti, i bambini così finivano sotto gli zoccoli degli zebù solo perché doppi, poi trent’anni fa un medico, Auguste Simintramana aprì un orfanotrofio a Mananjary per i gemelli buttati via. Non farlo per le mamme voleva dire essere ripudiate dalla famiglia e ridotte in miseria. Pensare che per la saggezza popolare ogni uomo nasce gemello: «Colui che è, e colui che crede di essere».