Corriere della Sera, 8 giugno 2018
Moana, destino irripetibile della donna che rovesciò i cliché su erotismo e porno
Si intitola Moana toujours la mostra di locandine e manifesti di film che si inaugurerà domani a Bagheria. In un luogo come la Sicilia, dove le impronte delle divinità pagane sembrano ancora fresche, i visitatori, ne sono sicuro, avranno la sensazione di trovarsi di fronte a documenti di una storia molto più antica del cinema. Non credo di esagerare. Un grande studioso tedesco del mondo classico, Walter Otto, nel suo fondamentale libro sugli Dèi della Grecia ha scritto che Afrodite «non è colei che ama, è la bellezza e la ridente leggiadria che irresistibilmente attrae».
Intorno al trentesimo anno, nel fiore della sua vita brevissima e all’apice della sua carriera, quando i Vhs dei suoi film vendevano milioni di copie, Moana Pozzi incarnò perfettamente questa prerogativa della dea olimpica dell’amore. Si offriva agli sguardi più lubrichi, si prestava a tutti i giochi possibili, ma un fondo di ironia la manteneva distante, inaccessibile, come se stesse esercitando una forma, paradossale e rivelatrice, di castità. Con i loro petti villosi (nei beati anni Ottanta i maschi non si depilavano) i fortunati che lavoravano con lei avevano tutta l’aria di giocattoli, o di prodotti della sua fantasia.
Moana era una giovane donna colta e intelligente, una vera figlia del suo secolo. A Roma frequentava Fellini e Schifano. Negli ultimi tempi si diceva che tenesse sul comodino le Confessioni di sant’Agostino. Ma non è questo il punto. Qualunque imbecille, soprattutto a Roma, è capace di frequentare gente illustre o di leggere un capolavoro. Le persone superiori non hanno bisogno di patenti di nobiltà, semmai nobilitano qualunque cosa facciano. Conservo un ricordo indelebile di lei, un pomeriggio di primavera, nello studio di un amico fotografo, nel cuore di Trastevere. Era il 1989 e per festeggiare lo scudetto dell’Inter, l’edizione italiana di Penthouse (era ancora il tempo del porno su riviste più o meno patinate) decise di offrire ai tifosi una copertina con Moana completamente nuda, la maglietta della squadra dipinta direttamente sulla pelle. Alla fine del servizio venne fuori che nello studio fotografico non c’era modo di lavarsi. Poco male, il mio amico su due piedi decise di fare un regalo incredibile al portiere dello stabile, un baffuto gentiluomo nordafricano che nutriva un culto esclusivo e fanatico per la bellezza femminile svestita, collezionando riviste e calendari scollacciati. Mai quest’uomo solitario e chimerico avrebbe immaginato di offrire la sua umile doccia a una Moana a strisce nere e azzurre. Si temette per l’infarto.
Ci sono felicità che eccedono la capacità di sopportazione peggio dei dolori. Si mormorava nel vicinato che in seguito quell’uomo nutrì una tale venerazione per la sua toilette che si lavava di rado e malvolentieri, per non profanare la memoria e il luogo di un evento così straordinario. Sembrava proprio la riedizione di una delle tante storie mitiche in cui gli dèi varcano, per qualche imperscrutabile motivo, le soglie dei poveri, goffi mortali. A quei tempi, bisogna aggiungere, era ancora molto radicato un dogma che asseriva la superiorità estetica e filosofica del cosidetto «erotismo» sulla pornografia.
A mio parere, l’importanza di Moana consiste nell’aver definitivamente rovesciato questa stupida e pretenziosa convinzione. Fu lei, coi suoi modi principeschi, a far capire al mondo che se c’era una cosa volgare, semmai era proprio il vedere-e-non-vedere dell’erotismo, con tutti i millantati margini lasciati all’immaginazione dello spettatore. La realtà è che, oltre ad essere una materia fondamentale della scienza medica, l’anatomia umana è un miracolo inesauribile, e la visione frontale ed esplicita dei piaceri che se ne possono ricavare è una sublime porta d’accesso all’infinito. E anche quelli che obiettano che le cose bisogna farle e non guardarle, commettono lo stesso errore di qualcuno che affermasse che il mondo è così bello che non ha bisogno di nessun pittore che lo dipinga e di nessun poeta che lo celebri. Tra tutti gli animali, infatti, gli esseri umani sono gli unici dotati della capacità di rappresentazione. E se c’è qualcosa da temere, è un mondo talmente impoverito da trasformare tutte le rappresentazioni in auto-rappresentazioni, un mondo di selfie dove non è più possibile tributare un giusto omaggio a chi fa le cose meglio degli altri, a chi le fa per tutti.
Per le persone della mia generazione, Moana non è stata né un personaggio, né una star, né il risultato di un qualche calcolo commerciale. Come Freddie Mercury, come Andrea Pazienza, come Ayrton Senna, brilla in una costellazione di destini e fattori umani irripetibili, come il simbolo di una giovinezza che poteva sembrare eterna, di una felicità circondata da oscure e subdole minacce. E come tutte le vere grandezze, anche quella di Moana non ha avuto eredi, ma solo imitazioni.