Corriere della Sera, 8 giugno 2018
Chi ruba nelle case non resta in carcere a lungo. Il caso Sala, le direttissime e le esigenze di custodia
Ha una bambina di 7 mesi. È incinta. È stata arrestata per il furto in casa del sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Ha confessato. E due giorni dopo è stata scarcerata. La storia giudiziaria di Gina Beltrami, giovane ragazza rom, 19 anni, ripropone un copione che, nei Tribunali delle maggiori città italiane, si ripete ogni giorno: con scostamenti minimi, ma sempre identico nella struttura. Una ripetitività che provoca una tensione tra esigenze di sicurezza reclamate dall’opinione pubblica (chi commette un reato deve stare in carcere), e la tutela dei diritti di una madre e di un figlio «in tenerissima età».
Sicurezza e diritti Perché la mamma di un bambino sotto i 6 anni resti in cella sono infatti necessarie «esigenze cautelari di eccezionale gravità e rilevanza» (come ha spiegato il giudice), e ovviamente queste esigenze non ci sono in caso di un furto, ma anche di uno scippo o un borseggio, per citare i casi più frequenti. Da una parte, molti agenti e funzionari delle forze dell’ordine indicano una «oggettiva inadeguatezza del sistema»: «Perché le gravidanze e la presenza di bambini piccoli rappresentano una sorta di salvacondotto per chi, dopo un rapidissimo passaggio giudiziario, riprende immediatamente a commettere reati. Esiste un uso “strumentale” dei bambini in certa criminalità di strada». La maggior parte delle borseggiatrici rom della metropolitana di Milano, ad esempio, hanno alle spalle anche decine di arresti e precedenti.
Dall’altra parte, però, giuristi e legali inseriscono questo tipo di eventi in un quadro analitico più ampio. L’avvocato Monica Gambirasio, presidente della Camera penale di Milano, spiega: «Probabilmente un uso strumentale dei minori esiste, può anche rientrare in una sorta di “strategia”. Ma non è che per questo bisogna venir meno ai principi di diritto, o sacrificare i diritti delle persone. Per situazioni comunque marginali, come il caso di queste ragazze, non serve una legislazione speciale. Possono esserci altre forme di tutela diverse dal carcere».
I tre percorsiAll’inizio del 2015, a Milano, una ragazza lituana uccise l’ex compagno. Madre di una bambina di 3 anni e mezzo, è sempre rimasta all’Icam, una struttura attenuata del carcere di San Vittore dove le madri detenute possono crescere i loro bambini. L’omicidio rientra appunto nelle «esigenze cautelari di eccezionale gravità e rilevanza». In caso di reati meno gravi, i percorsi sono diversi.
La decisione sulle tre ragazze fermate dall’Ufficio prevenzione generale della questura di Milano per il furto in casa di Sala è in realtà spezzata in tre diversi percorsi, che rappresentano anche un «breviario» riassuntivo per migliaia di altri casi simili: la più piccola, secondo le radiografie, aveva più di 14 anni, ma l’avvocato ha prodotto documenti che dimostrerebbe il contrario. Minore di 14 anni, dunque non imputabile, è stata affidata a una comunità in attesa della perizia sull’età.
L’altra, Claudia Riesteviski, 19 anni, è rimasta in carcere.
La terza, madre e incinta, è stata appunto scarcerata, ma con l’obbligo di stare nel Comune di Bollate (nella stessa casa/magazzino di borse, foulard, occhiali e pellicce rubate in cui è stata fermata) e dovrà firmare due volte al giorno davanti ai carabinieri. «Mi sembra un presidio di sicurezza comunque importante – riflette Monica Gambirasio —. E non possiamo dimenticare il tema chiave: in situazioni come questa, con il carcere non si risolve il problema della sicurezza, che va affrontato invece con diverse forme di tutela, controllo e inserimento sociale».
Furti depenalizzati?Di fronte alle mamme/ladre il dibattito si concentra sempre sull’aspetto carcere o no, perdendo di vista un tema che prima di tutto è etico e di responsabilità in qualche modo istituzionale: si può tollerare che un numero pur ridotto di bambini sia regolarmente e costantemente cresciuto seguendo un’«educazione criminale»? Perché i gruppi di borseggiatrici rom, ad esempio nella metropolitana di Milano e Roma, hanno spesso al seguito bambini che assistono ogni giorno ai furti e ai borseggi.
È anche vero, allo stesso tempo, che le scarcerazioni immediate per i reati «minori» avvengono di frequente nelle aule delle «direttissime» di tutti i Tribunali italiani per molte altre motivazioni che nulla hanno a che fare con i bambini. Il tema è stato analizzato dopo l’omicidio di un cameriere bengalese, a Milano, lo scorso 27 aprile. Uno dei due assassini, la settimana prima, era stato arrestato e poi scarcerato dopo un furto in un grande magazzino.
Arresti del genere, e ce ne sono decine al giorno, vengono quasi sempre convalidati (il giudice ne riconosce la legittimità), ma spesso non segue «la custodia» in carcere. E questo avviene in base alla pura e semplice applicazione del codice: perché l’imputato può essere condannato a una pena sotto i due anni (quindi l’esecuzione della pena viene sospesa), perché l’avvocato può ottenere un rinvio per preparare la difesa (e in questo caso, per reati «minori», non c’è esigenza di detenzione), perché se la pena è sotto i 4 anni si può chiedere l’affidamento ai servizi sociali e dunque non ha senso che l’imputato vada in carcere. «Su questa idea di sostanziale depenalizzazione non sono d’accordo – conclude l’avvocato Monica Gambirasio – perché se le condotte sono ripetute poi le persone vanno in carcere; perché la sospensione condizionale della pena non vale all’infinito; perché la concessione di misure alternative al carcere non è automatica. E soprattutto, pensando al caso dell’omicidio di Milano, un tentato furto va giudicato per quello che è in quel momento, non si può certo chiedere al giudice di immaginare o ipotizzare condotte criminali future».