la Repubblica, 7 giugno 2018
L’inferno libico di Ahmed: “ Io, costretto a seppellire tremila persone”
Ahmed non lo hanno neanche venduto all’asta. Hanno deciso che sarebbe stato uno degli schiavi dell’organizzazione. Non uno di quelli che lavora nei campi, oppure uno che si spacca la schiena portando blocchi di cemento nei cantieri. No, Ahmed è stato scelto per fare il becchino, per riempire quelle enormi fosse comuni che si nascondono sotto le dune di sabbia del deserto africano, sotto le discariche vicino alle spiagge da cui partono i gommoni, o al limitare delle periferie, dove i trafficanti tengono reclusa la loro merce umana.
Come abbia fatto a sopravvivere a questo orrore, a soli 19 anni, non lo sa neanche lui. «La notte non dormo, ho continuamente incubi, mi sveglio sudato, pensando a tutti quei morti. Ne ho raccolti quasi tremila in tre anni. La polizia libica mi ha costretto a fare il becchino». Secondo Ahmed, i suoi schiavisti sono della polizia libica, ma non è proprio così. Ormai da mesi in quella sponda dell’Africa distinguere tra guardie e ladri non è cosa facile. Spesso hanno tutti la divisa, una divisa qualsiasi, che siano poliziotti, trafficanti o guardie costiere. Anche perché spesso quelli che erano trafficanti sono diventati guardie costiere e quelli che sono poliziotti sono complici dei trafficanti. Certo è che gli schiavisti di Ahmed indossavano una divisa. «Sono stato costretto a recuperare cadaveri di donne incinte, di bambini, di uomini. Molti erano già decomposti, mutilati, forse dagli squali. A qualcuno mancava una gamba, un braccio, la testa, ed erano sparsi nelle spiagge dove il mare li aveva ributtati, o erano appena stati recuperati a qualche miglio dalla costa, dopo essere affondati a poche ore dalla partenza per l’Italia. Alcuni sono stati uccisi dalla polizia libica che sparava sui gommoni e uccideva chi era a bordo».
Ahmed ora è in salvo ma non ci crede ancora. Non capisce che l’incubo, che lo accompagnerà per tutta la vita dovunque il destino lo porterà, almeno per il momento è finito. È sul ponte della nave Aquarius di Sos Méditerranée, che lo ha salvato in mezzo al mare, che affida ad un angelo biondo la sua unica richiesta: «Aiutatemi a ritrovare mia sorella, vi scongiuro». Lui, 19 anni, pelle scura e gli occhi segnati per sempre. Lei, 27 anni, bionda e dallo sguardo che offre protezione. Sono il simbolo di due mondi che si vengono incontro.
Giorgia è lì per lui, il suo compito è proprio quello di ascoltare, di raccogliere le terribili storie dei sopravvissuti. E Ahmed finalmente si racconta. Spiega da dove viene, qual era la vita da cui è fuggito, chi era prima che gli schiavisti lo trasformassero nell’uomo della morte. «Sono stato in Libia per tre anni, ero scappato dalla Nigeria con mia sorella. Volevamo trovare lavoro a Tripoli e raggiungere l’Europa». Shara aveva diciassette anni, era di poco più grande di Ahmed e per lui era un punto di riferimento. Ma lui si sentiva responsabile e non sa darsi pace per non essere riuscito a difendere la sorella. «Vennero dentro il capannone,avevano gli occhi lucidi, gridavano e sparavano in aria. Uno dei carcerieri prese mia sorella per i capelli e la trascinò via. Cominciò a piangere, a gridare, Non l’ho più rivista».