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In trent’anni ha rivoluzionato la cucina, ne ha cambiato i parametri. Lo ha fatto in quello che era un “chiringuito”, un chiosco di bibite in una sperduta caletta della Costa Brava, da lui trasformato in elBulli, il ristorante più famoso del pianeta Terra. Poi, nel 2011 Ferran Adrià ha detto basta. Ha fatto una festa, ha invitato tutti i grandi chef del mondo compresi quelli, come Massimo Bottura, Renè Redzepi, l’americano Grant Achatz, che avevano studiato nelle sue cucine. E ha chiuso. «Eravamo giunti al limite, non creavamo più » , ha detto, per spiegare la fine dell’avventura. E ne ha aperta un’altra, forse più rivoluzionaria: ha creato elBullifoundation e progettato un’enciclopedia in cui radunare tutto lo scibile intorno al cibo: Bullipedia. La “biblioteca di Babele” della gastronomia.
Ferran Adrià, cos’è esattamente Bullipedia?
« Una piattaforma multimediale in cui vogliamo condensare, appunto, tutto il sapere attorno alla ristorazione gastronomica in Occidente, cibo e bevande, storia e servizio, con la metodologia chiamata Sapiens. Tutti parlano di cucina oggi, ma si va per approssimazione. Invece bisogna studiare, catalogare, confrontare. Siamo partiti nel 2013 e siamo a metà di un progetto che si sviluppa su dieci anni e costerà dieci milioni di euro ».
Ma chi costruisce l’enciclopedia?
« In cinque anni sono passati a Bullipedia oltre 300 collaboratori: dai cuochi agli agricoltori, dagli scienziati agli storici, agli architetti. Bullipedia poi è un editore. Sono già usciti i primi volumi, che riguardano le bibite e le origini della cucina. A novembre ci sarà quello sul caffè. Alla fine saranno 35 volumi, in spagnolo e inglese, per un totale di oltre 25 mila pagine. La fruizione ha diversi livelli, da testi basici ad altri specialistici. E stiamo lavorando alla versione digitale perché vogliamo che Bullipedia sia democratica e aperta a tutti».
Sapiens cos’è? Per Israel Ruiz, vicepresidente del Mit, lei sta applicando allo studio della gastronomia la stessa tecnica con cui costruiva i nuovi piatti di elBulli: decostruzione e poi ricostruzione creativa.
«Sapiens è una metodologia di ricerca cui stiamo lavorando appunto con istituzioni come il Mit, Massachusetts Institute of Technology, Harvard e Telefonica. La applichiamo alla gastronomia, ma è già stata usata in altri settori. Incrociando discipline diverse cerca di definire qualunque oggetto nel modo più preciso e al tempo stesso complesso. Insomma, connette le conoscenze intorno a un argomento e crea una visione globale, mettendo in discussione lo status quo, con un atteggiamento scientifico».
Può fare un esempio?
« Alla domanda “ cos’è un pomodoro o un’arancia?” si possono dare risposte molto diverse: dipende da chi la pone, se un cuoco o un designer, e dall’uso che ne voglio fare. Ne posso parlare come di prodotti naturali o di come vengono manipolati dall’uomo. Posso raccontarne la storia o la genetica. O più semplicemente come utilizzarli in cucina. Con Sapiens cerchiamo di mettere in relazione tutto questo. Ordinare i dati è poi il problema chiave, poiché è così che si capisce. E si può passare alla fase creativa. Perché per innovare è necessario prima capire».
Il mondo, non solo quello dei gourmet, si chiede però soprattutto quando riaprirà il ristorante a Cala Montjoi. E chi potrà mangiarci?
«Per ora è un cantiere, ma contiamo che i lavori per elBulli1846, nuovo nome del luogo in cui si trovava elBullirestaurante, possano finire entro il 2019. Il nuovo spazio a Cala Montjoi certo avrà una cucina, però non sarà un ristorante. Quella è un’esperienza chiusa. ElBulli1846 ( 1846 è un numero simbolo per Adrià: sono i piatti creati da lui in 30 anni, oltre che l’anno di nascita del grande cuoco francese Auguste Escoffier, ndr) sarà un laboratorio multidisciplinare: con una mostra permanente, aperta al pubblico, dedicata alla comprensione del processo creativo. E con gruppi di ricerca sulla gastronomia e sulla cucina».
Ma adesso che non è più chef cosa fa? È già in pensione a 56 anni?
«Pensione? Lavoro dodici ore al giorno a elBulli-Lab di Barcellona, che è un po’ il centro di tutti i nostri progetti. Viaggio, moltissimo. Leggo. E vado a vedere giocare il Barcellona».
L’alta ristorazione, quella delle stelle Michelin le interessa ancora? O preferisce i bistrot?
« I bistrot esistono perché esistono i ristoranti a tre stelle. Certo la gente normale non ci va, o comunque non tutti i giorni. Ma d’altronde pochissimi guidano una Formula uno, ma alla fine tutti utilizziamo nelle nostre auto elementi che derivano dalla Formula Uno. Oggi poi siamo fortunati perchè ci sono tanti locali semplici, in cui si cucina molto bene. Perché c’è una generazione di giovani cuoche e cuochi davvero eccezionale. Insomma l’alta cucina, che è anche una pizza fatta bene, non solo quella del ristorante solenne, ora è alla portata di tutti. Ma perché ci sia è necessario che l’alta gastronomia continui a fare avanguardia e creatività. Senza, finisce tutto».
Però si parla di un ritorno alla tradizione, si dice che dopo il Bulli non si può più inventare niente.
« Tutti quelli che hanno fatto cucina creativa e adesso dicono che devono tornare alla tradizione, lo fanno solo perché non sanno più come andare avanti».
Ma quali sono i cuochi nel mondo che fanno davvero avanguardia?
« Quelli che dettano una strada si contano sulle dita di una mano. I nomi? Lei vuole davvero che mi faccia tanti nemici? Certo oggi oltre al cibo in un ristorante è importante tutto ciò che si crea attorno alla tavola. Il teatro del cibo».
Torna in primo piano il servizio?
«Al Bulli è sempre stato importante. Il servizio è una chiave vitale per il successo di qualsiasi ristorante. Per molti anni si è parlato della gastronomia senza dargli la dovuta importanza. Non è un caso che i primi lavori che fanno parte di Bullipedia siano dedicati a questo».
Di parole d’ordine alla moda come “chilometro zero” o “territorio”, cosa pensa?
«Oggi i mercati sono globalizzati, è possibile avere prodotti da qualsiasi parte del mondo, subito. Quindi è impensabile credere che a Milano o a Barcellona non si mangino il sushi o la pizza. Questo non deve far dimenticare che il chilometro zero e la difesa delle specificità sono opzioni di valore per la diffusione di prodotti locali. E per la promozione di un territorio».
Come sta la cucina italiana e come sarà rappresentata nel ristorante a Torino?
«Che sia uno spagnolo a parlare di cucina italiana, una delle più importanti del mondo, non è corretto. Certo anche nei ristoranti italiani oggi c’è in giro molto talento. “Condividere”, il locale di Torino che ho collaborato a creare come amico della famiglia Lavazza non sarà il mio ristorante, ma quello di Federico Zanasi. Lavorando con lui ho imparato molte cose della cucina italiana che non conoscevo».
A ideare progetti come elBulliLab o il ristorante di Torino hanno contribuito persone come Juli Soler, suo socio e amico storico, e Bob Noto, un altro amico oltre che “il miglior cliente del mondo” come lo ha definito, che adesso non ci sono più.
«Continuano a vivere con noi del Bulli. Juli con i suoi figli Pancho e Rita che vivono e lavorano ogni giorno nella fondazione. E Bob, una grande mancanza per il mondo della gastronomia internazionale, con le sue foto e il suo pensiero».